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Questione di cuore

Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film

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La recensione su Questione di cuore

di giancarlo visitilli
6 stelle

Al contrario di quello che cantava il grande cantautore romano, “c’è un cuore che batte nel cuore di Roma”, l’Archibugi ne ha scelti due di cuori. Con la differenza che, ad un certo punto, i due cuori del film, almeno per un po’, smettono di battere. Si tratta dei cuori di due sconosciuti: un carrozziere e uno sceneggiatore. Il primo originario del Pigneto, il secondo un uomo del Nord, trapiantato nella capitale. E’ l’infarto che segna l’inizio della grande amicizia fra Angelo e Alberto.
La storia prende le mosse dal bel romanzo semiautobiografico di Umberto Contarello, “Una questione di cuore” (ed. Feltrinelli), ma in essa c’è il pensiero di Nietszche, Shopenauer, gran parte delle storie di Roth (finanche citato nel film). E’ un film sulle differenze e le possibili o improbabili soluzioni: la romanità verace di Angelo cozza con l’appartenenza nordica di Alberto; il pragmatismo e l’attaccamento materiale alla vita del primo contrasta fortemente con l’inettitudine a vivere del secondo. Le tante parole dell’uno sono l’esatto contrario dell’altro, che piuttosto, nel grande silenzio progetta di lasciare al suo ‘amico d’infarto’ la cosa più importante alla quale tiene, la sua famiglia.
Dopo il non riuscito Lezioni di volo, l’Archibugi ritorna nella sua città natale, ritraendo un quadretto famigliare all’interno di un quartiere molto popolare, come quello del Pigneto. Si riarma di tutte le suppellettili del cinema italiano, rintracciando nel dolore il sorriso, nelle lacrime la speranza, convinta che “ogni buona commedia si trascina dietro un dramma o un dolore”. Basteranno pochi espedienti, come un paio di occhiali da sole, metafora di una nuova visione delle cose.
La bellezza del film è insita anche nella capacità della regista di un film che rimane il suo migliore, “Il grande cocomero”, a confrontarsi con la mentalità maschile, con due differenti mentalità di uomini, che riescono a comprendersi solo mediante lo scontro-incontro con la mentalità femminile. Inoltre, non mancano momenti di grandezza, anche per mezzo dell’utilizzo e della spiegazione di come funziona la fabbrica del cinema, a partire dal lavoro di chi come Alberto svela i meccanismi della sua professione: svelando le tecniche della narrazione, per cui ognuno altro non è se non una sorta di “indovino”, capace di intuire le storie delle vite altrui. Tutto sta nel distinguere la finzione dalla realtà.
Ottimo il cast: oltre ad un insolito Albanese e il sempre bravissimo Kim Rossi Stuart, si distinguono la sempre più brava e magnetica Francesca Inaudi, oltre che la sorpresa di Micaela Ramazzotti, finalmente capace di recitare, dopo la prima grande e vera prova, precedente a questo film, in Tutta la vita davanti.
L’unica pecca del film, proprio quello che sarebbe diventato un cameo nel film: Carlo Verdone, Paolo Virzì, Paolo Sorrentino, Daniele Luchetti e Stefania Sandrelli, nella parte di se stessi, al capezzale di Alberto; in realtà, niente di più insignificante all’interno del film. Il solo tempo per qualche sorriso, abbastanza freddo del pubblico.
Alla fine, un buon film italiano, finalmente con una storia di vera amicizia tra due uomini, senza la necessità di nessun Luca gay o esigenza di chiedersi Diverso da chi? La nomination all’Archibugi come grande cineasta, cardiologa dei buoni sentimenti.
Giancarlo Visitilli

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