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L'Inchiesta

Regia di Giulio Base vedi scheda film

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La recensione su L'Inchiesta

di sasso67
2 stelle

Catechismo cinetelevisivo di nessuna rilevanza artistica, ma che ha consentito alla tv pubblica di spendere un bel po' di soldi nel cast e nei costumi, per ribadire, ancora una volta, la bontà dei cristiani, saldi nella fede ma tolleranti, contro il fanatismo, opposto ma complementare, dei romani idolatri e degli ebrei estremisti (con un richiamo abbastanza scoperto ai fondamentalisti islamici dei nostri tempi).

Il manicheismo che pervade l'intera operazione prevede un perfido Ponzio Pilato che in Palestina tenta, con metodi meschini (e con l'appoggio dei farisei che hanno condannato Gesù), di ostacolare l'indagine di Tito Valerio Tauro sulla figura del Cristo, mentre in Italia, precisamente a Capri, l'imperatore Tiberio, sulla base della semplice relazione ricevuta dal suo inviato, si appresta a fare, trecento anni prima di Costantino (editto di tolleranza) e trecentocinquanta prima di Teodosio, del Cristianesimo la religione ufficiale dell'Impero, ostacolato, in nome degli dei pagani, di un culto religioso in funzione della conservazione del potere e di una personale filosofia materialista, abbinata all'instabilità mentale per cui è passato alla storia, dal nipote Caligola, erede designato alla successione.

Il contesto, ricostruito ad usum delphinorum, conta comunque meno del personale calvario che deve percorrere l'investigatore imperiale per scoprire la verità su Gesù e sui suoi "strani" seguaci. La faccia pulita di Daniele Liotti, incredulo, ma onesto e leale fino all'ingenuità, serve a delineare un percorso di adesione al credo cristiano, anche attraverso l'amore per una giovane ebrea (Monica Cruz, sorellina della più celebre Penelope), già adepta del nuovo culto e ribelle all'autorità paterna, che la destina ad un matriomonio d'interesse con un anziano vedovo.

La storia è già stata vista e narrata meglio da Damiano Damiani nel film, dallo stesso titolo, del 1987. Qui vengono proposte poche varianti, che peggiorano una struttura che già nel lavoro originario, nonostante l'argomento, non aveva fatto gridare al miracolo. Lo stile è quello, ibrido tra fiction televisiva e lavoro più propriamente cinematografico, che contraddistingue fin troppo cinema dei nostri tempi: a questo stereotipo fanno pensare anche certi volti, un tempo dignitosi, come quelli di F. Murray Abraham (il fariseo Nathan, padre di Tabità) e di Enrico Lo Verso (l'apostolo Pietro), ormai votati al cinema teologicamente e politicamente conservatore di Renzo Martinelli e compagnia salmodiante.

Anche soltanto leggere il cast (nel quale dispiace trovare il nome sempre glorioso di Max Von Sydow) serve a capire la confusione che regna in questo guazzabuglio: accanto a caratteristi bulgari (tale Hristo Shopov interpreta Ponzio Pilato) si possono trovare, oltre ai già citati, i nomi di Ornella Muti e Dolph Lundgren, Anna Kanakis (un'attrice che tale non è mai diventata) e, forse tagliati al montaggio, di Giuliano Gemma e Franco Nero. Battaglie nella Foresta Nera e duelli rusticani nel deserto completano lo spettacolo (che vorrebbe essere) edificante.

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