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Ex Drummer

Regia di Koen Mortier vedi scheda film

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La recensione su Ex Drummer

di Kurtisonic
5 stelle
L’aggettivo più ricorrente per definire Ex drummer potrebbe essere controverso, il suo autore Koen Mortier lo ha invece bollato come generazionale. Questo termine può rivelarsi pericolosamente limitante ma è forse più umanamente spiegabile con il desiderio di trovare una fetta di pubblico compiacente verso un film che fa dell’esagerazione e dell’eccesso la sua cifra stilistica più rilevante. Mortier, prendendo spunto da un romanzo di Herman Brusselmans che se trasposto fedelmente non sarebbe altro che la copia conforme di Irvine Welsh, esaspera una realtà marginale e derelitta orientandola verso il basso senza nessuna inibizione ideologica e di rappresentazione. Che la spettacolarizzazione della crudezza condita dall’oscenità possa rigenerare in chi guarda non una curiosità pornografica, ma una elaborazione di segno opposto conferendo valori e sentimenti magari contrastanti ma visceralmente autentici non è una novità così spiazzante purchè la mano del regista e la qualità del narrato prendano le dovute distanze dal materiale basso in cui sta sguazzando. Il regista non se ne preoccupa invece, lascia progredire la storia per conto suo come se il suo controvalore morale” alto” potesse prendere forma da sé. Ne scaturisce un’atmosfera del disgusto assai diegetica, corredata da una musica trascinante, e volessimo accodarci a tutti coloro che lo hanno paragonato, Ex drummer riduce il cult Transpotting ad un banalissimo divertissement per collegiali d’altri tempi. Dries è uno scrittore “cool” che viene contattato da tre individui per suonare la batteria nella loro band di punk metal. I tre sono disagiati psico fisici a vario livello, appartenenti al sottoproletariato locale hanno individuato in Dries il quarto componente ideale ma che però deve presentare anche lui una disabilità per essere un loro pari, sarà sufficiente la sua dichiarazione di non saper suonare. Come detto, i toni sempre eccesivi da sembrare forzati denunciano più un’ingenua voglia di suscitare scandalo che il dibattito, la realtà estrema che rappresenta anche se di certo esiste, non viene rafforzata da qualche scurrilità ad oltranza. L’idea base del racconto potrebbe invece essere molto più funzionale al film, il personaggio di raccordo, cioè quello dello scrittore doveva essere quello che mediava l’immagine nuda e cruda con un contenuto che spingesse la drammatizzazione. Invece funge da semplice figura di comodo, attraversando indenne le varie componenti narrative che costruiscono il film. La sua esperienza diretta dovrebbe essere a sua volta canalizzata in materiale letterario, ma non si ha la percezione di uno stacco da una condizione vissuta dal personaggio a contatto con la band e i bassifondi con lo scrivere, con la traduzione di un materiale di vita acquisita che si tramuti in valore esperienziale. Se questo elemento potrebbe tuttavia neanche essere considerato una parte mancante, si scontra fortemente con l’identificazione del suo personaggio, in contatto con gli emarginati è perfettamente in linea con quello stadio di disagio come se ne cogliesse ogni umore, in grado di rapportarsi dentro un mondo così lontano dal suo. Quando invece si trova fuori da quel contesto, diventa non solo capace di estraniarsi nella sua condizione borghese ( lasciandoci ipotizzare l’azione di un’auspicabile catarsi creativa letteraria), ma soprattutto non dimostrando minimamente di venire intaccato da quella realtà disperante e così estrema. La sua credibilità diventa vacillante e la trascinante sequenza finale non si rivela sufficiente al riequilibrio morale. Mortier si dimostra assai creativo con la mdp e le immagini in particolare del concerto che terrà la band, che prenderà il provocatorio nome di The feminists, sono stupefacenti ma come tante altre scene, risulteranno un po’ fini a sé stesse. Disagio sociale e disabilità, conflitto fra verità e finzione letteraria, incomunicabilità e disfacimento morale, tutti elementi poggiati su di un livello di lettura condito da nefandezze talvolta gratuite, che non ricevono alcun supporto di riflessione che non si discosti dalla semplice raffigurazione. Buona tecnica, senza dubbio, ma resta troppo indefinibile il confine fra un cinema dell’alternativa a quello dell’ammiccamento.

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