Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film
Un dramma molto commuovente, tremendo.
Un buon spaccato del mondo contemporaneo, americano e occidentale: dove tutti sono stati allevati male, e sono tristi, e sono costretti a cercare di ritagliarsi poi la parte marginale di un grande show, quella parte che gli possa dare un po' di soldi e notorietà, il minimo che servano per non pensare di essere un nulla.
I rapporti umani sono qui oggettivamente squallidi, nel migliore dei casi: eppure in tutti i protagonisti c'è la tristezza per la profonda insoddisfazione, e la speranza di uscirci e diventare davvero felici. Il pessimismo del film sta anche nel mostrare come uan strada per un'autentica felicità non sia possibile, nel mondo di apparenza e di cartapesta dello spettacolo americano, che pure viene venduto ingannevolmente come la massima aspirazione umana. Farsi apprezzare per le botte date che sanno di coraggio e invincibilità, come il protagonista; oppure sculettando seminuda nei balletti al bar per clienti laidi, come la sua fidanzata: il film suggerisce che non c'è reale apprezzamento altrui e autositima in tali gesti, a maggior ragione per gente che ha puntato solo sull'aspetto fisico, come il capitalismo impone e adora (ed è gente che ormai si sente già nella fase calante della vita, nonostante sia ancora solo sulla quarantina; e di momenti belli ne ha vissuti pochissimi, lampi che sono ben meno di quelli indesiderabili).
Il pessimismo si può anche non condividere; ma la pellicola resta un ottimo monito sulla tristezza che molto facilmente può accompagnare la vita di un occidentale (e non solo), se non provvede con valori morali suoi o valori ai quali è stato educato.
Per chi, come chi scrive, è cresciuto a fine anni'80 vedendo le star buffone del wrestling, il monito è chiaro: quello che sembra vero e ammirevole è tutta una pagliacciata, una messinscena per far presa sulla frustrazione individuale del pubblico, frustrazione che fa adorare persone forti. Per sentire meno forti le proprie incapacità, si presta fede a uno spettacolo bugiardo, in cui tutto è già scritto a tavolino.
E' un'ottima metafora di tutto ciò che è capitalismo, società di massa, società dei consumi, mezzi di comunicazione di massa, sport professionistico: perchè io spettatore mi senta meno sfigato, darò sostegno a tutte le favole che mi daranno da bere, al "sogno" costruito da un potere che ha bisogno di evasione e finto protagonismo per costruire la proria conservazione. Ma la persona in questione sta come prima, meglio o peggio? Sta molto peggio, perchè non vede i probloemi reali e le loro possibili soluzioni: e questa soluzione accomodante gli è già offerta su un piatto d'argento dalla stessa ricca dirigenza capitalista che lo tiene ben più povero di come potrebbe essere, e che perciò ha bisogno di non far pensare ai problemi reali.
Alla fine, la confessione del wrestler è da brivido: in un contesto di schifo, l'unica cosa per cui vale la pena vivere è un briciolo di emozione di sentirsi meglio degli altri e di sentirsi amato da un pubblico che in realtà però non gli dà niente di importante, se non pochi soldi, in mezzo però a una maggioranza schiacciante di sensazioni di tristezza. Così, marionette senza valore umano reale e sempre sostituibili, vuole lo spettacolo del capitalismo, così come quello di ogni società repressiva, che ha bisogno di pompare a più non posso il sempre valido "panem et circenses".
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta