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Operazione Valchiria

Regia di Bryan Singer vedi scheda film

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La recensione su Operazione Valchiria

di LorCio
6 stelle

È un’americanata. Nel senso più nobile del termine. È, cioè, un film che solo gli americani potevano realizzare. Esemplificativo, dannatamente furbo, coinvolgente. Non diciamo castronerie: non voglio pensare a cosa sarebbe stato questo Valchiria se fosse stato girato, che so, dai tedeschi o dai francesi. Questo genere di film non lo sappiamo fare, non è nelle corde europee. Ci saremmo troppo persi nell’analisi politica – e vorrei vedere, dopotutto il nazismo ce lo siamo beccati noi, mica gli americani. Appunto per questo, lo sguardo americano è più distaccato e interessato maggiormente al complotto che al resto, forte della tradizione thrilleresca che ben conosciamo.

 

Sotto la guida del puntuale Bryan Singer (senza dimenticare la mano della potente United Artist, ormai gestita da Cruise), Valchiria è quello che ti aspetti: tutto prevedibile, mai deludente. Non puoi pretendere un’analisi storica approfondita, non è il film, non è la storia. Non puoi stare appresso al protagonista, non ti conviene porti troppi interrogativi. Eh sì, perché il dubbio che dovrebbe appassionarci è se il protagonista sia un paladino della pace o del principio primordiale del concetto nazista. In fin dei conti, l’attentato è contro Hitler (e ovviamente quel che ne consegue), non contro la Germania. Il protagonista è un patriota mercenario al servizio di un’idea di Stato che, in fin dei conti, coincide con quella originale di Hitler: la distanza tra le due scuole di pensiero sta in quel che è seguito alla presa del potere e, ovviamente, nella gestione della guerra.

 

Non è una storia che trasmette un messaggio contro il nazionalsocialismo, ma contro chi ha travisato il nazionalsocialismo. C’è una scena ambigua in cui Hitler afferma che può capire la natura del nazionalismo solo chi ha capito la poetica della musica di Wagner (la Valchiria di mezzo… avete capito?). Non so fino a che punto l’affermazione (per quanto credibile) sia pertinente, ma, ci risiamo, non interessa all’economia del film. È un kolossal, non va dimenticato, conta l’effetistica del tuono (ma è il lampo che fa la differenza – non l’ho detto io, è di Mark Twain, credo – ma ora che c’entra?), e dunque del suono. Non può non basarsi su una sceneggiatura solida: c’è, il film si regge. E poi, è pur sempre un film di Bryan Singer, non può essere una cretinata. Certo, va a finire che risulti più interessante la realizzazione del film piuttosto che il film stesso (le cronache della lavorazione sono travagliatissime), e forse non è da scartare questa ipotesi.

 

Non c’è niente che non ti aspetti, eppure è tutto così ben fatto. Pare che alcuni si siano commossi alla sequenza in cui il tenente protegge il protagonista prima della fucilazione: io ho trovato più relativamente toccante (senza esagerare) il suicidio di Terence Stamp, un sussulto di dignità da non sottovalutare. Tom Cruise, assai suggestionato dalla figura del protagonista (su cui devo informarmi seriamente perché il film rischia di santinizzarlo), mette a segno un ruolo cult: senza una mano, privo di due dita, con la benda alla Bette Davis in L’anniversario.

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