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Ponyo sulla scogliera

Regia di Hayao Miyazaki vedi scheda film

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La recensione su Ponyo sulla scogliera

di giancarlo visitilli
8 stelle

Rimanda a Il vecchio e il bambino di Guccini, a Il Pescatore di De André, alla poesia, ai ricordi e alla semplicità di quando si è bambini l’ultimo capolavoro di Hayao Miyazaki, l’omaggio del maestro giapponese al classico La sirenetta di Andersen.
Una piccola pesciolina rossa dal volto umano, Ponyo, scorrazzando in lungo ed in largo per il mare, rimane incastrata all’interno di un barattolo di vetro. Trovata per caso e salvata dal piccolo Sasuke, un bambino di cinque anni estremamente vivace e curioso, viene messa in un secchiello e trasportata in giro per la scogliera dove si svolge la vita del bimbo e di sua madre Lisa. Tra i due nasce immediatamente una bellissima amicizia. Tornata nel fondo degli abissi marini, la pesciolina decide di trasformarsi in umana (cosa resa possibile dal contatto che questa ha avuto con una goccia di sangue di Sasuke) e di rinunciare per sempre alla vita sott’acqua. Tutto ciò però avrà delle conseguenze. Infatti secondo una delle leggi del mare, qualora ciò avvenisse, sulla terra si abbatterebbero violenti tsunami e nel giro di poco tempo il mondo collasserebbe su sé stesso. Soltanto Susuke, aiutato dalla volontà di Gran Mamare, madre della pesciolina, e dal padre Fujimoto, potrà portare le cose ad un nuovo equilibrio.
Lontano dal perfezionismo dell’animazione digitale e dal ‘furbismo adulto’ a cui ci hanno troppo abituati i buonisti film di animazione della Disney, qui tutto è ancora matita, gomma e fantasia: gli unici artifici che Miyazaki si concede per animare, dare colore e anima a realtà che sembrano in estinzione, la terra e il mare. Una terra che genera, come la madre, di cui lo stesso regista ebbe a dire: “Ho un’età in cui posso contare con le dita gli anni che mi restano da vivere. Quando raggiungerò mia madre, che cosa mai potrò raccontarle?”, e che non diventa mai “matrigna”, come anche nella poesia, per esempio leopardiana, è rintracciabile. Si ha l’impressione che il regista nipponico altro non sappia fare che dipingere dichiarazioni d’amore, con i colori della dolcezza e dell’ingenuità, al modo di chi ancora gode di quella ingenuità bambina. Un eterno fanciullino, la cui poetica descrittiva è lontana un miglio dalle trame intrecciate di Il castello errante di Howl o dagli scenari nichilisti di Mononoke. Qui c’è spazio soltanto per la bellezza e la solarità dei disegni, per la tenerezza espressa dagli occhioni allegri di Ponyo, per le sublimi musiche classiche. Si è come in una città incantata, ma dove la paura non ha più spazio. Senz’altro il motivo principale è il punto di vista attraverso l’anima pura dei due bambini e il confino offerto al mondo adulto, che nel film ha un ruolo marginale. Evidente rimando alla verità secondo la quale dagli abissi del mare, dei ricordi dell’età più lontana, può emergere quel che di buono ancora rimane nell’umanità.
Giancarlo Visitilli

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