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Leningrad Cowboys Go America

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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La recensione su Leningrad Cowboys Go America

di mahleriano
8 stelle

Un film dell'assurdo godibilissimo in cui si ride di gusto fin da subito per le situazioni più impensabili e con un riferimento abbastanza scoperto ai Blues Brothers. In questa pellicola, come anche in altre dello stesso autore, il copione è tutto sommato minimale: ma è proprio questo l'aspetto particolare e creativo di questo autore, che sfrutta spesso le inquadrature statiche, i primi piani e i giusti tempi per far parlare i suoi film. Ogni immagine dura esattamente quanto basta per evocare di volta in volta il senso del comico o del drammatico, senza bisogno di molte parole: le immagini parlano così da sole. E questo non è facile se non lo si sa fare, mentre questo regista lo sa fare decisamente bene, invece... In questo film una buona dose di fantasia originale, unita alla tecnica di cui sopra, riesce perfettamente a rendere la comicità e l'assurdo di ogni situazione. Ed ecco dunque dei protagonisti di una banda improbabile con un enorme ciuffo di capelli alla Elvis moltiplicato per dieci e le scarpe a punta spropositate, simbolo di una diversità in realtà inesistente perché in contrasto con l'omologazione seriale di ogni loro movimento; ecco delle espressioni tutto sommato sempre identiche qualunque sia la musica suonata; ecco un capo furbo e sfruttatore e ciononostante simpatico proprio per la sua bastardaggine; o il diverso dal ciuffo appena accennato che li segue ovunque per fare parte del "branco"; o un morto congelato trasportato ovunque per l'America; e i pensieri dedicati agli amori... Una serie di gag surreali e talvolta geniali, insomma, inserite in un contesto a episodi, in cui degli emarginati continuano a rimanere tali, attraversando luoghi altrettanto emarginati e sperduti. Non c'è necessariamente un senso da cercare: solo da godersi l'arguzia e l'intelligenza delle trovate e nello stesso tempo il bel modo di rappresentarle... Oppure, e può essere un'altra chiave di lettura, il senso è proprio la contemplazione dell'assurdo che ogni realtà porta in fondo in sé. Se ci fosse stata la mezza stella avrei dato tre stelle e mezzo, ma in mancanza arrotondo a quattro più che a tre!

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