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Stuck

Regia di Stuart Gordon vedi scheda film

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La recensione su Stuck

di giurista81
7 stelle

Dopo svariati horror puri, si ricordano From Beyond o Dagon, Stuart Gordon realizza un'opera drammatica dall'alto tasso sanguinolento e con una storia che sembrerebbe inverosimile ma che invece viene spacciata come ispirata a un fatto di cronaca. 

Script semplice e scarno, ma cattivissimo al punto da risultare claustrofobico. Tutto ruota attorno a un investimento stradale ai danni di un pedone, un banale incidente stradale ma con allontanamento dell'investitore. La particolarità sta nel fatto che il pedone, un ex libero professionista caduto in disgrazia e costretto a vivere da barbone (l'esperto Stephen Rea), è rimasto incastrato nel parabrezza dell'auto e che il conducente della stessa, una giovane infermiera in procinto di promozione, anziché disfarsi del corpo pensa bene di celare auto e uomo all'interno del proprio garage in attesa di decidere cosa fare. La cosa che crea forte disturbo non sta tanto nell'atteggiamento della donna, ma nel contorno ovvero nel fatto che nessuno, dei vicini, pur accorgendosi di una situazione strana (chi sente suonare un clacson in un garage, chi al 911 riceve una chiamata di emergenza e non fa niente per localizzare il cellulare, chi vede un uomo insanguinato dai vetri del garage), muove dito per soccorrere il poveretto, poiché tutti pensano a sé stessi temendo di poter andare incontro a rogne personali in caso di intervento. Neppure una serie di colpi di pistola smuoveranno dalla reticenza e dalla connivenza questi soggetti, che resteranno rintanati in casa come se tutto fosse regolare. Evidente dunque la critica degli autori al menefreghismo che domina certe società che vorrebbero presentarsi come civilizzate, al punto che un poliziotto allontana un barbone da una panchina perché deturpa il senso estetico, ma che in realtà sono dominate da un egoismo e da una marcata ipocrisia di fondo che risponde alla legge della giungla piuttosto che ai principi della solidarietà e del dialogo. Un modo come un altro per dire che nessuno interviene per lenire o impedire crimini che si verificano nell'ambito familiare, anzi che si tende a esserne in qualche modo complici disinteressandosi delle sorti altrui e lasciando che i più forti abbiano la meglio sui più deboli (la legge della giungla, appunto). Gli autori della sceneggiatura rimarcano l'ipocrisia di fondo che domina queste società facendo fare la parte dell'antagonista a un'infermiera, per lo più apprezzata per la propria umanità sul posto del lavoro, ovvero la figura che più di tutte siamo abituate a vedere soccorrere le persone in difficoltà. Un modo quindi per estremizzare al massimo il concetto di fondo. Il poveretto dovrà allora fare tutto per conto proprio per sottrarsi a una morte certa, in un vortice che porterà l'investitrice a cadere sempre più verso i gironi più bassi dell'inferno come poi evidenzierà il metaforico finale tra le fiamme. Bello l'epilogo che vedrà un adolescente soccorrere il povero barbone, a sottolineare i valori incontaminati dalle esigenze sociali che solo un bimbo può sicuramente avere.

Pessimista, all'inizio lento, ma via via sempre più interessante e piuttosto originale nella sua semplicità. Ottime le interpretazioni, meno interessante la colonna sonora. Bene.

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