Espandi menu
cerca
Frost/Nixon. Il duello

Regia di Ron Howard vedi scheda film

Recensioni

L'autore

spopola

spopola

Iscritto dal 20 settembre 2004 Vai al suo profilo
  • Seguaci 507
  • Post 97
  • Recensioni 1197
  • Playlist 179
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Frost/Nixon. Il duello

di spopola
8 stelle

Peter Morgan è uno che ci sa fare con le parole. Sua la pièce teatrale basata sulla storica intervista televisiva a Nixon del 1977; sua la sceneggiatura da essa derivata che è alla base del film di Ron Howard (che raggiunge qui forse il risultato più maturo e positivo di tutto il suo percorso di regista un pò “à la page” e non sempre altrettanto incisivo ed efficace). E’ straordinario rilevare come insieme riescano a “creare” un’opera che, pur non rinnegando la sua origine teatrale (preponderanti gli interni, come era inevitabile che fosse) è capace di vivere di luce propria diventando cinematograficamente significativa anche in virtù di questa sua “staticità di fondo”, qui utilizzata (e movimentata) con sapiente duttilità intuitiva, come accade sempre quando a sorreggere il progetto e la trasposizione c’è dietro un’idea forte e si può contare non solo su un cast esemplare, ma anche su una mano e uno sguardo altrettanto sensibili di chi è chiamato a coordinare l’impresa (colui “che mette in scena”). E Ron Howard si conferma intuitivo e intelligente, persino disponibile (e in questo caso lo è) ad “adeguare” il suo stile allo script (che è prioritario con una tematica del genere), e non a fare il contrario, come invece accade con maggior frequenza. La macchina da presa è mobile e creativa (mai “virtuosistica” però), “accarezza” e scava impietosamente “dentro” i volti, li scarnifica (metaforicamente), sta “addosso” ai personaggi e li tampina da vicino, li “costringe” ad esprimere, insomma, tutta la gamma (e le sfumature) dei sentimenti e delle sensazioni, dei “rovelli” e delle contraddizioni, mettendone in luce “vizi e virtù” con implacabile e determinata precisione. Perché qui non ci si accontenta di “raccontare” semplicemente il fatto, ma lo si immerge nella realtà dei tempi, se ne definiscono i contorni (ricreandoli con encomiabile attendibilità veritiera) si rappresenta, rendendolo vivo e palpitante (“centrale” direi) proprio ciò che “ci sta dietro”, illustrando le circostanze e le modalità che lo muovono, che lo resero possibile, facendo emergere non solo le personalità contrastanti dei due contendenti, ma anche quelle di tutto l’entourage di contorno comprese le loro “ragioni”. Ne scaturisce quindi un quadro a tutto tondo non solo del discusso (e discutibile uomo) di governo ormai “dismesso” (non ultime le pesanti “responsabilità” politiche che si portava dietro), ma anche dei sottili (perversi) meccanismi dei media (e la “civiltà delle immagini”, la televisione insomma, può diventare – ed è quasi sempre ormai – una cattiva maestra se l’utilizzo è strumentale, e questo nel bene e nel male, capace come è di “fotografare” l’attimo, di raggiungere risultati anche “al di là delle intenzioni primarie”, come nel caso in oggetto, qualcosa che sarebbe stato davvero impossibile conseguire altrove con altrettanta efficacia e “risonanza”). E il film esprime molto bene la capacità “orientativa” del mezzo, evidenzia tutte le sottili implicazioni “emozionali” dei messaggi che vengono “veicolati” proprio attraverso ciò che si mostra (la comunicazione non verbale) spesso ancora più importante (e determinante) di ciò che si dice e si afferma a parole, nella definizione di un “successo” o di una caduta: i “dettagli” che rimangono impressi nella memoria, il racconto degli sguardi, delle posture, insomma. Solo pochi minuti ma capaci di capovolgere ore di discorsi e di affermazioni. La statura di Morgan come sceneggiatore ci era già palese (basterebbe citare le ottime prove rese, tanto per fare un esempio, con “L’ultimo re di Scozia” e soprattutto con “The Queen” per qualificarlo positivamente). Per quel che mi riguarda quindi, posso senz’altro dire che è stata una maggiore, gradita sorpresa proprio l’inedito Howard che mi sono trovato davanti, una volta tanto davvero “autore” e non solo abile artigiano, sovente un po’ “ruffiano” (termine da leggersi non in senso dispregiativo, ma da intendersi invece come riferito a un modo di fare cinema particolarmente rispettoso della “convenzionalità hollywoodiana” che si può sintetizzare in un approccio, “tecnicamente ineccepibile” – non disprezzabile – ma impregnato di carinerie compiacenti finalizzate a non “disturbare” né distrarre, più interessato cioè a un “matrimonio” con il grande pubblico che a ipotizzare gli scompigli "conflittuali” della coerenza criticamente graffiante). Siamo molto vicini infatti in Friost/Nixson propro alla “classicità” di un cinema che ormai sembra quasi dimenticato e una volta straordinariamente efficace. Howard è indubbiamente più “riflessivo” e pacato, ma riesce ugualmente a rammentarci l’enfasi un po’ furiosa di registi di frontiera di differente provenienza e formazione (penso principalmente a Oliver Stone) che hanno reso grande il genere. Il regista èabbastanza prossimo al George Clooney di “Good night and good luck”. non solo per impegno, ma anche per la coerenza del risultato. E poi c’è la straordinaria prova degli interpreti… Dispiace proprio per questo, che li sforzo profuso non abbia avuto i ritorni che avrebbe meritato e che erano oggettivamente auspicabili, così disattenta (disinteressata) sembra ormai essere diventata la platea fruitrice (e non solo quella americana), da risultare davvero troppo poco disponibile ad appropriarsi (approcciandovisi seriamente) di tematiche così importanti, (insensibile alla “conoscenza” dei fatti?) e a sintonizzarsi su argomenti politicamente rilevanti di pellicole a loro modo militanti (nel perseguire appunto l’obiettivo divulgativo non pedante della riflessione).. Frost/Nixon allora è persino uno specchio dei tempi perché ci parla di cose che forse adesso nemmeno in America sarebbero riproponibili… nonostante Obama. I cervelli (e le coscienze) sono stati adeguatamente candeggiati e probabilmente oggi non saremmo (non lo siamo proprio, ahinoi!) capaci di “indignarci” per quanto sarebbe necessario fare e nemmeno di attivare quegli anticorpi reattivi che nella seconda metà del secolo scorso sono stati invece lo stimolo per denunciare e ribaltare – anche se in ritardo e a posteriori – molte prepotenze e complotti grazie anche al contributo illuminato di giornalisti degni di questo nome dei quali sembra ormai si sia perso lo stampo. L’intervista che riuscì a mettere alle corde l’uomo del “potere assoluto”, che lo costrinse ad ammettere (forse sarebbe più giusto dire a far intravedere, a far “percepire” realisticamente) molto di più di quanto non fossero stati capaci di fare persino le commissioni di inchiesta e i tribunali, è - come già accennato - del ’77, di tre anni successiva quindi allo scandalo del Watergate (“Tutti gli uomini del Presidente”). Il politico era stato “travolto”, costretto a dimettersi da ciò che era emerso. Lo spazio disponibile (per il dramma e il film) rimaneva solo quello concedibile alla protervia dell’uomo che non intendeva arrendersi alla nuova condizione che lo circondava, dopo il suo vergognoso sputtanamento.. Morgan (e conseguentemente Howard) ritrae allora il Nixon più privato, ma non per questo meno prepotente, quasi come una “vittima” dei propri limiti , dei propri errori e della propria presunzione, Ce lo fa percepire in tutta la sua umana debolezza (che ovviamente crea tutt’altro che empatia) proprio perché è inesorabile nel mettere allo scoperto liuomo e la sua coscienza "soffocata". Ma ci racconta anche parallelamente quanto può essere incisiva e importante persino la cosiddetta “televisione di intrattenimento”, perché Frost era un “semplice”, vanitoso e arrivista anchor man, non aveva alcuna effettiva reputazione giornalistica. Eppure, sollecitato nella giusta maniera, messo alle strette dalla necessità di essere il vincente, visto che come per l’intervistato anche per lui erano in gioco il futuro e la sua vita stessa, dimostrerà che la professionalità, la determinazione, la preparazione e la grinta (tutte caratteristiche contrarie e avverse del servilismo acquiescente che ormai ha contagiato irreversibilmente anche il giornalismo vero e proprio della contemporaneità) può fare il “miracolo”. Niente di definitivo e “certamente” inoppugnabile. Per un attimo però il cedimento è evidente (e il mezzo televisivo impietoso nel riprenderlo). E sarà proprio quell’uomo più dedito allo spettacolo che all’approfondimento, ad ottenere con il suo istrionismo un pò evanescente una volta tanto “imbrigliato” e reso pugnace, ad ottenere un accenno, un “simulacro” di quella “ammissione di responsabilità (confessione), che nessuno prima di lui era riuscito a strappargli anche in maniera larvata (nemmeno la corte suprema e tutti I suoi apparati legali e burocratici). Ma giustamente qui Nixon è solo una delle due parti in causa e la pellicola non potrebbe risultare così palpitante se non venisse contemporaneamente messa a fuoco anche la personalità del suo antagonista: due uomini che forse in fondo (alla resa dei conti) hanno più di un punto che li accomuna, a partire dalle modeste origini, e dal percorso intrapresso, irto di difficoltà e di scompensi, per arrivare all’affermazione e al successo. Forse proprio per queste ragioni lo scontro è così straordinariamente coinvolgente. Nixon una volta tanto è stato consigliato male: ha accettato la sfida intravedendo in quella opportunità mediatica (considerata tutta a suo vantaggio) la possibilità di rifarsi una certa verginità (di trovare in qualche modo una redenzione) . Si dovrà invece arrendere uscendo di nuovo dalla scena quasi umiliato, senza possibilità di ulteriori appelli, riconfermando in maniera più umana e coercibile quanta aggressiva prepotenza aveva dominato gli anni della sua presidenza, come era stato smodato e personale l'uso del potere esercitato,, come aveva tradito i princupi della costituzione, insomma. Lo scavo delle anime riguarda qui tutti i personaggi che popolano la scena (e non semplicemente i due protagonisti). Se infatti sul versante della intervista vera e propria non ci sono novità di rilievo (ci si attiene alla documentazione realistica di ciò che effettivamente avvenne) il “valore aggiunto” va ricercato su “quel dietro le quinte” a cui accennavo sopra, che è indubitabilmente la parte più interessante perchè movimenta e vivifica, ma soprattutto per la sua capacità, proprio attraverso questo meccanismo illustrativo e un pò demistificante, di mettere meglio a fuoco le bugie, le inconsistenze, la protervia e i nascosti turbamenti segreti dei due personaggi principali (e in tale contesto, sicuramente assume una importanza rilevante, ne diventa il momento culminate e “illuminate” proprio la sequenza “cardine” della telefonata notturna fatta da Nixon la sera prima dell’intervista finale, un momento ineccepibile ed essenziale per la definizione delle psicologie, in un rapporto quasi “confessionale” capace di far cadere i veli e le ipocrisie non solo politiche e di definire meglio i termini anche “cavallereschi” del duello in atto). Frank Langella (già Nixon sulle scene) è straordinario ed efficace, impersona magistralmente un Nixon che è più vero del vero, proprio come “essenza” (basterebbe l’immagine impietosa, anche dolente in qualche maniera, che ne fissa lo spaesamento rabbioso quasi di belva in gabbia piena di stupore incredulo, al termine del confronto per raccontarci la statura superiore di un interprete troppo spesso disperso in parti di fianco, qui finalmente in grado di dimostrare la sua vera statura. Gli risponde per le rime un altrettanto incisivo Michael Sheen (anch’egli reduce dai trionfi sulle scene) ugualmente pregnante, elegante e vanitoso al punto giusto. persino un pò presuntuoso a volte nella sua vacua ostentazione, ma capace di sferrare attacchi e pressing senza esclusione di colpi. Accanto a loro mi ha ugualmente convinto tutto il folto stuolo di comprimari di lusso: in primis un aderente, intenso, sufficientemente ambiguo Kevin Bacon, qui al meglio delle sue possibilità, senza ovviamente dimenticare glia altrettanto ottimi Sam Rockwell, Oliver Platt, Toby Jones e Rebecca Hall.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati