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Lawrence d'Arabia

Regia di David Lean vedi scheda film

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La recensione su Lawrence d'Arabia

di hupp2000
10 stelle

Ho avuto la straordinaria fortuna di vedere questo film al cinema quando avevo circa 12 anni. Muore Peter O’Toole e mi trovo a rivederlo in televisione ad oltre mezzo secolo di distanza. Certo l’impatto visivo ne esce sminuito e la partecipazione emotiva di un pre-adolescente cambia molto con il passare dei decenni. Ciò non toglie che il film di David Lean era e resta un capolavoro del genere storico/avventuroso/biografico che fece furore tra gli anni ’50 e ’60. Anzi, lo considero uno dei migliori, insieme a Ben Hur di William Wyler (1959) e Spartacus di Stanley Kubrick (1960). I tre film dettano le regole di un filone che si estenderà al western e al cinema bellico: le epiche imprese di un personaggio leggendario, un contesto storico in cui inserirle, scene di massa memorabili, un cast pluristellare, scenari leggendari, battaglie, scontri, colpi di scena. In “Lawrence d’Arabia” c’è tutto questo, arricchito da un’introspezione psicologica del protagonista raramente presente nella categoria dei film cui appartiene, un genere nel quale il buono è buono e poi ci sono i cattivi. Il personaggio incarnato dall’allora giovanissimo Peter O’Toole è un eroe ambiguo, un idealista e un violento, un uomo appassionato e crudele. Il suo carisma è intimamente legato al suo carattere maniacale, cupo e depressivo. “E’ il più grande esibizionista che abbia mai conosciuto” dice più o meno di lui un ufficiale inglese di stanza al Cairo, in una delle scene iniziali. Come dargli torto? Indossato il costume arabo, Lawrence diventa tutt’uno con il suo cammello, si mette alla testa di tribù arabe che non conosce, si fa adorare come un profeta o un liberatore e ne gode senza ritegno. Si è spesso parlato di una velata tendenza omosessuale del personaggio. All’epoca, un film inglese non avrebbe mai potuto spingersi a tanto. Rivedendolo oggi, invece, devo dire che l’ipotesi mi è apparsa tutt’altro che velata. Basti osservare il rapporto che il nostro instaura con i due giovani “servi” messisi a sua disposizione, la danza che si concede solitario una volta indossata la sua nuova mise di seta bianca e, soprattutto, il fortissimo legame di amicizia stabilito con Shérif Ali, un Omar Sharif al massimo della prestanza fisica. Già, perché intorno al giovane e ancora poco conosciuto protagonista ruota una vera e propria corte di attori leggendari, tutti perfettamente in parte : Alec Guinness, Anthony Quinn e Omar Sharif in vesti arabe, Anthony Quayle, Arthur Kennedy e Jack Hawkins in divisa britannica, per citarne solo alcuni. « Lawrence d’Arabia » è un film lungo come si addice a questo tipo di produzioni e non annoia mai. Scene d’azione e di guerra si alternano a momenti di autentica contemplazione paesaggistica, i dialoghi non si limitano a riempire spazi tra battaglie campali e momenti spettacolari. Richiedono anzi una rispolveratina alle nostre conoscenze della storia del Canale du Suez, della colonizzazione inglese e della Prima Guerra Mondiale. Non lo si può certo dire che sia usuale per l’insieme dei cosiddetti « kolossal » dell’epoca. Si aggiungano al tutto le musiche di Maurice Jarre, un tema indimenticabile che farà il giro del mondo dopo essersi giustamente aggiudicata l’oscar come miglior colonna sonora. Il film ne porta a casa sette, tutti meritati, ma la statuetta sfugge sia al protagonista (e tutto sommato lo posso capire) che ad Omar Sharif, nominato come miglior attore non protagonista (e questo lo capisco meno). Una curiosità : benché non accreditato nei titoli, nella scena i cui militari turchi torturano Lawrence, appare brevemente un certo Fernando Sancho, futuro personaggio di rilievo degli « spaghetti-western ».

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