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Toy Story 3. La grande fuga

Regia di Lee Unkrich vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Toy Story 3. La grande fuga

di petweir
10 stelle

L’ultima geniale trovata è anche quella più semplice. Chiamarlo al cellulare. Per fargli sapere che sì, ci sono ancora, che sono lì per servirlo, per non sentirsi abbandonati o peggio rimpiazzati. Perché, come ripete Woody ossessivamente per tutta la durata del film, “il nostro lavoro è essere lì per lui”. Per Andy, che ormai diciassettenne e in procinto di partire per il college, ha giustamente messo da parte i suoi giocattoli. Che si ribellano: noi ci siamo, abbiamo bisogno di essere “giocati”, di essere guardati, di essere amati. Abbiamo bisogno di un rapporto. Appartengo, dunque sono: è questo il motto, la frase guida che percorre il nuovo capolavoro della Pixar, Toy Story 3, in uscita in Italia il prossimo 7 luglio. La scuola Pixar -  perché ormai dopo così tanti capolavori, si deve parlare non più di casa di produzione ma di vera e propria scuola, nella quale uno impara a stare al mondo, a voler più bene alla moglie e ai figli, insomma impara a gustarsi la vita – ha costruito i propri film attorno a un’idea forte. Sin dai primissimi: i primi due Toy Story raccontavano che l’avventura della vita è bella se condivisa; Monsters & Co e Nemo rappresentavano con poesia la paternità alla prova; Gli incredibili era la storia di una rocciosa famiglia alle prese con le intemperie della vita. Cars insegnava con la splendida e semplicissima metafora della macchina che per diventare grandi bisogna imparare a seguire un’autorevolezza. E ancora: Ratatouille sul gusto della vita, Wall-E e il mistero che sta dietro le cose e Up, forse il più bello di tutti, sul matrimonio come apertura alla vita. Toy Story 3, un altro capolavoro, racconta di un gruppo di giocattoli che scappano da un asilo dove sono finiti per un errore, non perché sia un posto particolarmente brutto, ma perché non appartengono a nessuno. Tanti padroncini che se ne vanno nel tempo, nessun padroncino. Meglio rimanere in soffitta ad aspettare che il padroncino ritorni dal college, perché noi giocattoli siamo fatti per servirlo. Altra metafora geniale: i giocattoli che per esser felici hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura esclusivamente di loro, qualcuno che non li abbandoni, come succede al “cattivo” di turno, che come tutti i personaggi negativi della Pixar sceglie il male perché non amato, perché lasciato solo, convinto contro ogni evidenza di essere artefice del proprio destino. Ci sono tanti aspetti che ricorrono nei film di John Lasseter & Co. e che si ritrovano anche in Toy Story 3: il primo è che anche questo è un film divertentissimo, mai volgare, positivo strutturato ad altezza di bimbo ma con tanti elementi che solo gli adulti possono cogliere. Lo struggimento per “chi non era amico di nessuno”, ed è diventato dal cuore cinico e arcigno; la bellezza di una vita da condividere con gli amici; l’unicità della persona, anche di un giocattolo. Una sequenza su tutte: Ken, che per non essere considerato un semplice bambolotto per signorine, incappa in brutte compagnie, incontra Barbie e ovviamente è subito amore. Ma l’amore ha bisogno del tempo e della cura e della fatica, e solo alla fine, davanti ai rimbrotti dell’orso Lotso per cui le bambole sono tutte fatte in serie, si accorgerà che no, che lei è unica, che quel rapporto è così speciale che gli ha cambiato la vita. Un po’ come la famosa rosa per Il piccolo principe. Altro che “film omofobico e sessista che danneggerebbe i bambini”, come è stato scritto su una rivista femminista in America.  Qui si impara a stare al mondo e a ridere di gusto. Perché c’è tanta malinconia in Toy Story 3, ma anche tanta ironia. Barbie, ad esempio, che è tutt’altro che una bambolina stupida e senza cervello, è intelligente, sagace e furba. E sa colpire Ken dove più fa male. Facendogli a pezzi il guardaroba. Un secondo aspetto ci colpisce: è che la Pixar fa sempre qualcosa di nuovo. Toy story 3 non è la minestra riscaldata dei primi due come capita spessissimo anche nel cinema d’animazione, basti pensare alla brutta fine fatta da Shrek o Madagascar. Toy Story 3 è il film della maturità della serie, porta a compimento parole come avventura, amicizia, amore gratuito inaugurati dai primi due e porta in dote la ricchezza visiva e tematica degli altri capolavori Pixar: non a caso nel finale il riferimento più grande è al cielo di Up, ma anche a quello di Wall-E. Un cielo blu che è forse il destino della Casa di Produzione che ha cambiato per sempre la storia del cinema d’animazione e non. La Pixar di John Lasseter, infatti, nonostante il successo di questi anni, punta inarrestabile sempre più in alto, seguendo il motto di Buzz Lightyear, “verso l’infinito e oltre”.

 

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