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Identità sospette

Regia di Simon Brand vedi scheda film

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La recensione su Identità sospette

di Immorale
5 stelle

Oblìo criminale.

L’opera prima del regista colombiano Simon Brand, fino al 2006 attivo solamente nella pubblicità e nella direzione di video musicali, si avvale di una trovata iniziale non nuova ma sempre stimolante: piazzare una serie di pedine inconsapevoli in un ambiente (criminale) chiuso, e lasciarli interagire tra di loro. In un gioco al massacro amplificato dall’espediente narrativo della perdita di memoria di tutti i personaggi, all'oscuro, quindi, del loro ruolo pre-amnesia.

 

 

Idea non completamente originale, dicevamo, la “memoria” corre a “The cube” di Vincenzo Natali (1997), “Memento” di Christopher Nolan (2000) ma anche a “The Alzheimer Case” (2003) di Erik Van Looy, giusto per citarne qualcuno dell’ultimo periodo, senza contare l’infinita di drammi da “camera” partoriti dalla filmografia mondiale in ogni epoca. Per il suo “stilizzato” esordio Brand si avvale di una schiera di prima/seconda fila di validi caratteristi, visti in decine e decine di film (di solito in ambito action) e di una star (all’epoca) in media ascesa: la folta schiera dei primi vede all’opera il convincente Greg Kinnear (“Little Miss Sunshine”), lo “stereotipato” Joe Pantoliano (la serie TV “I Soprano”, “Bad Boys 1 e 2 “), il semi-cristologico Jeremy Sisto (“Law & Order”), l’affettata Kathryn Bridget Moynahan (“I, robot”, “Lord of War“), l’agitato Barry Pepper (“La 25^ ora”, “Le tre sepolture”), il cattivo Peter Stormare (una infinità di partecipazioni nei film più disparati; pensate a caso ad un qualunque pellicola “mainstream” americana dal 1986 ad oggi: lui c’era) ma anche i quasi cameo del veterano Chris Mulkey (idem come Stormare) e di Adam Rodriguez (CSI Miami), mentre nei panni del secondo c’è Jim “Jesus” Caviezel, prima della stagnazione artistica e della successiva rinascita con la serie TV “Person of Interest".

 

 

Le progressive fasi “in divenire” del racconto, ovvero l’assegnazione delle parti di vittime o carnefici ai cinque protagonisti, vengono gestite con sufficiente equilibrio dal giovane regista, soprattutto grazie ai numerosi flashback dove traspare chiaramente la sua abilità visiva (senz’altro di base “videoclippara”) dalla resa omogenea e veloce quanto basta per non tediare o cadere trappola della reiterazione insistita delle situazioni (circostanza meno inusuale di quanto si pensi). Compattezza che si sfilaccia poi con il passare dei minuti, sia per la poca capacità di gestione degli attori, tutti professionali ma senza entusiasmare (non aiutati da dialoghi prevalentemente dozzinali), che per lo sbrigativo finale, epilogo “monco” di una sceneggiatura non capace di sviluppare con originalità lo spunto inziale. 

Pecche che non inficiano la godibilità del film, ma che lo incasellano inesorabilmente nella folta schiera di film vedibili senza particolari patemi (è stato tra l’altro anche un discreto successo d’incassi - oltre 60 mln a fronte di un budget di 3,7 mln – Fonte imdb), freschi e corroboranti come il riaffiorare di un piccolo piacevole ricordo.

 

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