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Hunger

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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La recensione su Hunger

di steno79
9 stelle

 Potrei sbagliarmi, ma “Hunger” mi è sembrato uno dei film più belli degli ultimi anni, non soltanto un’opera prima di insolita levatura. Il video-artista Steve McQueen ha diretto un film di denuncia e di protesta civile e politica che riesce a reggere il confronto con illustri predecessori come “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo, e lo ha fatto con un linguaggio personale, figurativamente potente senza cedere all’estetismo.

Il film inizia mostrandoci la situazione di una guardia carceraria nel carcere di Maze, in Irlanda del Nord, che deve fronteggiare le proteste dei detenuti appartenenti all’IRA che vogliono il riconoscimento dello status di prigionieri politici da parte della Thatcher, nel 1981. Lentamente il focus narrativo si sposta dalla guardia ad uno di questi prigionieri, chiamato Gillen, colto in alcuni momenti di quotidianità nella cella dove aderisce alla protesta dello sporco imbrattando i muri di liquidi fecali, poi in parlatorio nel colloquio con una fidanzata che bacia in bocca, poi perfino mentre si fa una sega nel letto guardando una foto. Intorno alla mezz’ora di proiezione viene introdotto il personaggio di Bobby Sands che diventerà il protagonista indiscusso della rappresentazione: assistiamo prima ad una sorta di rivolta carceraria da lui guidata e repressa con ferocia dai manganelli della polizia inglese, poi ad un lungo colloquio tra Bobby ed un prete cattolico, padre Moran, in cui il regista permette al personaggio di esporre le sue convinzioni politiche e morali e la sua assoluta fiducia nella giustezza della lotta rivoluzionaria; infine assistiamo alle ultime fasi del drammatico sciopero della fame portato avanti da Sands, e all’inevitabile e atroce morte.

La materia è incandescente, ma McQueen riesce a mantenere sempre un perfetto controllo dei contenuti e dei suoi strumenti espressivi. Le immagini sono molto curate nella composizione e nell’illuminazione e riescono da sole a trasmettere lo squallore di una disperata condizione umana, ancor prima che politica; le scene di violenza e sopraffazione sui detenuti sono indubbiamente molto dure, ma perfettamente allineate con una volontà di denuncia che non arretra di fronte a nulla. Il cuore del film risiede certamente nel lungo piano-sequenza di 17 minuti a macchina fissa in cui Bobby Sands si confronta col prete: ad una prima visione la sequenza potrebbe risultare troppo ardita nella concezione e nell’esecuzione, ma in realtà il dialogo è talmente denso, trascinante e ricco di spunti che la sequenza perde la sua staticità e assume una ricchezza emotiva quasi sconvolgente. La parte finale del martirio di Bobby col corpo ricoperto di piaghe acquista il valore di un grido di rivolta, disperato ma lucido, e non ci trovo compiacimenti morbosi o voyeuristici: il corpo macilento di Fassbender viene sfiorato dalla macchina da presa con riprese sempre pudiche, mai troppo lunghe o “ad effetto”, con un efficace uso della soggettiva per le “visioni” di Bobby, che includono alcuni flashback forse un po’ ellittici, ma comunque giustificati nel corpo del racconto, in quanto collegati all’esperienza infantile di cui Bobby aveva parlato col prete e che aveva segnato l’inizio della sua consapevolezza sociale. L’immagine della morte collegata ad un volo di uccelli l’ho trovata comunque poetica in questo contesto, anche se forse un po’ “di riporto” (ricordo un’immagine molto simile in “Aparajito” di Satyajit Ray, collegata alla morte del padre di Apu, a cui potrebbe essersi ispirato McQueen). Per quanto riguarda altre immagini fortemente connotate, si potrebbe citare il piano-sequenza della pulizia di un corridoio da parte di un secondino svolta in tempo reale, che, come ha detto l’utente Ed Wood nella sua pregevole analisi, fa pensare al cinema di Bela Tarr. Infine, l’interpretazione di Michael Fassbender, il talentuoso attore anglo-tedesco che si è rivelato proprio con questo film: se il lungo dialogo fra Bobby e padre Moran risulta coinvolgente, il merito va senz’altro alla performance vocale di Fassbender e del suo collega Liam Cunningham, ma Fassbender ha l’ulteriore merito di aver spinto l’identificazione col suo personaggio fino all’estremo senza calcare la mano sull’istrionismo sfrenato, ma risultando credibile e convincente. In ruoli minori figurano piuttosto bene anche Stuart Graham (la guardia carceraria) e Brian Milligan (il detenuto Gillen).

Venendo ad una valutazione complessiva, che giudizio proporre? Si può azzardare fin da subito l’etichetta così abusata del capolavoro? Secondo me il film ha delle qualità cinematografiche notevoli e ha il coraggio di adeguare il proprio stile a diversi moduli di rappresentazione, fra l’altro ripescando la forza di rottura di un certo modernismo cinematografico nella lunga sequenza centrale, che probabilmente guarda a Godard e al suo uso avanguardistico del piano-sequenza. Dunque, per me Steve McQueen va promosso a pieni voti per “Hunger”, superiore al successivo “Shame”.

Voto 9/10 

 

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