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Il ladro di Bagdad

Regia di Raoul Walsh vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il ladro di Bagdad

di FABIO1971
8 stelle

Bagdad, “città di sogno dell’antico Oriente”. Il ladro Ahmed (Douglas Fairbanks), temerario e disincantato (“Quello che voglio, lo prendo. La mia ricompensa è qui: il paradiso è un sogno assurdo e Allah è un mito”), rischia continuamente la vita tra furti e imprese sempre più ardite: penetrato nel palazzo del califfo (Brandon Hurst) per rubare un forziere di gioielli, si introduce nelle stanze della principessa (Julanne Johnston) e, folgorato dalla sua bellezza, se ne innamora perdutamente. Uno spietato principe mongolo (Sôjin), intanto, dal suo palazzo di Ho Sho, nella lontana Asia Orientale, trama per usurpare il trono del califfo di Bagdad e impadronirsi della città: scelta l’occasione più propizia per sferrare l’attacco, ovvero il prossimo matrimonio della principessa, quando, cioè, tutti i pretendenti si recheranno a Bagdad da ogni parte dell’Oriente per chiederle la mano, il principe organizza il suo piano d’azione, stabilendo di introdursi nel palazzo del califfo come uno dei corteggiatori e infiltrando una sua schiava (una deliziosa e sensuale Anna May Wong) al seguito della principessa. Anche Ahmed ha avuto un’idea simile e, rubati abiti principeschi nel bazar dei mercanti della città, si accoda alla sfilata di pretendenti, sbaragliando la concorrenza e conquistando il cuore della ragazza: quando, però, viene smascherato, la rabbia del califfo si abbatte sullo sventurato “principe dei ladri”. Frustato a sangue, viene gettato in pasto a un mostruoso gorilla, sfuggendo segretamente alla morte soltanto grazie all’intervento della principessa, ormai costretta a scegliere un nuovo pretendente: il prescelto sarà chi, spedito nelle terre più remote del continente, entro sette lune le riporterà il tesoro più raro e prezioso. E mentre il principe mongolo continua a tramare nell’ombra per conquistare Bagdad, Ahmed parte alla ricerca di un tesoro che possa “superare ogni immaginazione”, atteso da incredibili peripezie (“Lo sai, giovane temerario, che incontrerai sulla tua strada fiamme devastanti e mostri orribili?”), fino all’insperato trionfo del suo sogno d’amore: d’altronde, “la felicità bisogna meritarsela”
Una tra le gemme più scintillanti della Hollywood dorata degli anni Venti, frutto entusiasmante della collaborazione tra i talenti di Raoul Walsh e del divo Douglas Fairbanks, qui nella triplice veste di attore, produttore e cosceneggiatore (con lo pseudonimo di Elton Thomas). La lavorazione di Il ladro di Bagdad ha inizio negli studios della compagnia di Fairbanks, che intende realizzare un film (liberamente) ispirato a una novella delle Mille e una notte (An Arabian Nights Fantasy, come recita il sottotitolo della pellicola): la scintilla scocca quando Walsh, invitato a visitare i set appena allestiti da William Cameron Menzies per il film, in preproduzione già da quasi un anno, accetta di partecipare al mastodontico progetto, finanziato dalla neonata United Artists con costi che lieviteranno sensibilmente oltre il milione di dollari. Il risultato è un’opera divertita e sfrenata, in cui il fascino dell’esotismo, le passioni palpitanti del melodramma, le meraviglie del fantasy, il brivido dell’avventura e le seduzioni dell’erotismo rivivono magicamente sullo schermo in una messinscena di straordinario impatto spettacolare, dallo sfarzo delle imponenti scenografie e dei fondali (opera di un magistrale art director come William Cameron Menzies) ai sontuosi costumi realizzati da un venticinquenne Mitchell Leisen, dalla fotografia di Arthur Edeson ai favolosi effetti speciali, curati da Hampton Del Ruth e Coy Watson sr.
La regia di Walsh, concentrata sull’essenzialità drammaturgica della narrazione e sul ritmo del racconto, governa le esuberanze divistiche di Fairbanks frenandone l’istrionismo ed evitando di imbrigliarne la scatenata vitalità, per poi liberare finalmente, dopo una prima parte dedicata all’esposizione e allo sviluppo degli snodi cruciali dell’intreccio, tutta la propria fantasia e inventiva in un’incalzante escalation di virtuosismi (Fairbanks e Julanne Johnston sul tappeto volante, la memorabile sequenza nella Valle dei Mostri) e in una travolgente girandola di meraviglie (la corda magica, le Montagne dell’Orrida Avventura, la Valle del Fuoco e quella dei Mostri, il tappeto volante, la Grotta degli Alberi Incantati, il cristallo magico del gigantesco idolo di Kandahar, il vecchio del Mare di Mezzanotte, la dimora del cavallo alato, il sepolcro segreto dell’isola di Wak, la mela magica, la Cittadella della Luna, il mantello invisibile, il cofanetto magico).
Tre remake cinematografici, dal più celebre, nel 1940, diretto da Tim Whelan, Michael Powell e Ludwig Berger, alle versioni di Karel Lamac (1952) e di Arthur Lubin e Bruno Vailati (1961), e uno televisivo, firmato da Clive Donner (1978).

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