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Ladri di biciclette

Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film

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La recensione su Ladri di biciclette

di OGM
10 stelle

La bicicletta brilla, ed è desiderata ed accudita come un gioiello, in questa storia di indigenza, in cui anche le cose più piccole diventano importanti e, a volte, drammaticamente irraggiungibili. La miseria ritratta da De Sica non ha il calore della solidarietà popolare; è invece una condizione che attanaglia crudamente l'anima, mettendo uno contro l'altro, in una rivalità all'ultimo sangue, gli uomini e le donne che ne sono vittime. In questo film il bisogno materiale ha il sapore freddo e amaro di un pezzo di metallo in mezzo ai denti, ed ha l'odore umido e pungente di una pozzanghera fangosa. Non c'è spazio per la pietà, e manca il consolatorio abbraccio della povera gente, in una capitale spogliata del suo monumentale lustro, e ridotta ad una metropoli qualunque, impastata di ferro rugginoso e pietra sporca. I protagonisti si muovono come briciole sparse al vento nel gran bazar della Roma postbellica: la loro solitudine è accentuata dalla coralità del mondo circostante (i gruppi degli spazzini, dei preti, delle prostitute, dei tifosi) che sembra suddiviso in squadre anonime e coese, ed organizzato in ingranaggi robusti e rumorosi, pronti a chiudersi a tenaglia sugli elementi disallineati.  Ad Antonio Ricci, infatti, non è concesso, nonostante tutto, neanche il beneficio della invisibilità: il suo furto per necessità è subito notato e, benché si salvi dall'arresto, il bilancio finale è inesorabilmente in rosso: alla mancanza della sua bicicletta si aggiunge infatti la perdita della sua dignità di padre, simboleggiata dal cappello caduto nella polvere, che  il figlio tenta insistentemente di ripulire con la mano. "Ladri di biciclette" è un capolavoro che realizza l'arte senza costruirla, bensì inseguendola nelle insenature del reale, laddove un'imposta spaccata è l'insegna del dolore, e un lenzuolo ammucchiato il lascito di un sogno infranto.

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