Regia di Charlie Kaufman vedi scheda film
Caden Cotard, regista e commediografo, mette in scena Morte di un commesso viaggiatore ma insegue la sua opera, che sia «pura e veritiera». E non può che basarsi sulla sua vita, pedinarla al millimetro, riprodurla in abisso: una figlia strappata; un’amante con cui la passione, troppo forte per essere consumata, si è cristallizzata in devozione; anni di prove e provini, set magniloquenti che riproducono le strade di New York, della vicina Schenectady, di Berlino. La pièce si arena nell’ossessione di Cotard di mettere in scena la vita mentre accade, di superare la dimensione temporale della rappresentazione, di aggirare il vero dramma, riassunto in un lancinante discorso funebre: a nessuno interessa l’infelicità altrui, perché?ognuno ha la propria. Quello che Cotard scopre, chiamando un attore a interpretare l’attore che interpreta Cotard, è che tutti sono tutti: ci illudiamo di essere speciali, fondiamo i nostri legami sull’esito di audizioni quotidiane socialmente accettabili, sappiamo che tutti devono morire, ma segretamente siamo convinti che per noi non valga. E il corpo si sfalda come la narrazione, il tempo non si può raccontare se non raccontando il suo cortocircuito, l’amore non si può dire se non dicendo la sua assenza. Opera gigantesca e geniale sul modo in cui raccontiamo a noi stessi la vita e la morte, avremmo voluto vederla in sala anni fa e non sulla scia della scomparsa del suo protagonista (sfruttata perfino nel poster italiano, dove campeggia uno degli ultimi ritratti scattati a Hoffman).
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