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Revolutionary Road

Regia di Sam Mendes vedi scheda film

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La recensione su Revolutionary Road

di billykwan
8 stelle

Quando si ama riamati coinvolti in una forte passione ci si sente speciali, si hanno grandi sogni. Poi gli anni passano, ci si confronta con la realtà, i sogni vengono accantonati e ci si scopre normali. “Revolutionary road” fotografa proprio questo: l’incapacità di chi si sentì speciale di accettare la propria mediocrità. Frank e April Wheeler appartengono alla midlle-class americana della metà degli anni ’50, vivono in una bella casetta in un quartiere residenziale con un paio di figli. April voleva calcare i palcoscenici e invece scende i gradini dei teatrini di quartiere per entrare nei panni di una casalinga; Frank non ha mai saputo bene cosa volesse dalla vita e ha accettato un lavoro che gratifica il portafoglio e avvilisce l’animo. La coppia è alla deriva quando April prova a dare uno scossone: propone al marito di andare a vivere a Parigi e ricominciare lì una nuova vita. Frank, inizialmente titubante si lascia affascinare dall’idea e tra i due rinasce la passione ma dietro l’angolo, in agguato, c’è una realtà fatta di paure, inquietudini, tentazioni. Tutti i personaggi del film sono degli sconfitti, i Wheeler, i loro vicini, gli anonimi colleghi di Frank, i coniugi Givings, tutti vivono in un mondo finto, una cartolina patinata composta da rapporti sociali fatui. Per assurdo, il solo che riesce a scorgere la verità è il figlio alienato della signora Givings e dalla sua bocca usciranno parole che peseranno come macigni sul fragile equilibrio dei Wheeler. Ironia della sorte, il folle è il solo sano. April è un personaggio inquieto e fragile che crede nei propri sogni, Frank è più concreto e timoroso di fronte all’ignoto. April non accetta la propria condizione, Frank fa buon viso a cattiva sorte. La loro sconfitta è inevitabile. Un film cupo, senza speranza, sorretto da un’ottima colonna sonora. Ma forse una speranza c’è, sono quei bambini, pressoché assenti per tutto il film, forse perché distanti da un mondo in sfacelo, che alla fine giocano spensierati e danno un senso all’esistenza di chi è rimasto.

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