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WALL-E

Regia di Andrew Stanton vedi scheda film

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La recensione su WALL-E

di PompiereFI
8 stelle

Messaggi subliminali in stile “They live” circondano una vivida (viva?) umanità; la spingono a vincere, mangiare, giocare, in una realtà futuristica che assomiglia tanto a una giostra. I terrestri sembrano divertirsi, si abbandonano a cotanto godimento corporeo e poco importa se tutti sono vestiti dello stesso colore (la scelta è fra il rosso e il blu, l’importante è che l’abito sia gemello per chiunque). Il cuore, la memoria, la sensibilità, danno l’impressione di essere rimaste a casa, in chissà quali strutture architettonicamente ardite e avanzate. Per ora ci si accontenta di percorrere strade apparecchiate da una linea bianca, senza fatica, comodamente seduti su di un lettino pneumatico sollevato dal suolo.

Numerati e perennemente in stato sognante, gli “umani” non si muovono più,  non hanno nemmeno bisogno di pensare, di vestirsi o di parlare: c’è già qualcuno che provVEDE a tutto, che li ha contati e che li comanda attivamente tra protocolli, priorità, computer, finte rigenerazioni fisiche bilanciate da buffet e da frullati giganti, temperature sotto controllo e comunicati da Grande Fratello.

 

Anche il tempo sembra essersi arreso: non esistono più le (mezze) stagioni, solo 21 gradi permanenti e assolati. In questa continua crociera spaziale, il gregge umano staziona a bordo piscina e, in un catatonico stato di perdita della coscienza, non prova nemmeno a farsi un bagno, separato com’è da qualsiasi proposito di apertura e comprensione. La vita è asfittica, connotata in un habitat sintetico, disinfettato e candeggiato, secondo direttive presidenziali imparziali e indiscutibili.

WALL-E è uno spazzino “sollevatore terrestre di carichi di rifiuti” che, stazionando su di un Pianeta Terra divenuto suolo tossico in cerca disperata di una nuova colonizzazione, ha creato un Eden personale collezionando gli scarti lasciati dall’uomo e, lavorando sotto il sole malato, non vede più cieli azzurri o prati verdi. Il solitario e non affranto robot costruisce grattacieli di spazzatura cubica compattata, prima che l’abituale nube di polvere si affacci minacciosamente al tramonto, chiudendo una giornata uguale all’altra da oltre 700 anni a questa parte.

In questo Paradiso Terrestre obbligato, WALL-E è un Adamo che rincorre la sua Eva (un modernissimo robot femmineo) ed è un paradosso che funge da agente contaminante, interessato a svilupparsi (e a riprodursi!) più delle estinte carcasse umane senza futuro, impaurite dal terriccio lasciato sui loro lindi pavimenti quasi fosse un’impronta oltraggiosa. Il robottino della Pixar, pur essendo un incrocio tra le lunghe braccia di E.T. e gli sferragliamenti cingolati del Numero 5 di “Corto circuito”, è un veicolo scassato che suscita simpatie incondizionate; nel piccolo cuore in scatola di WALL-E c’è ancora posto per la curiosità e la speranza, nei suoi occhi-binocolo ci si tiene per mano e si danza romanticamente come in “Hello, Dolly!”.


Il film, uscito dal laboratorio creativo di John Lasseter, è dipinto da un set di colori insolito che va dal grigio fosco al castano plumbeo, passando in rassegna tutte le sfumature bruciate dei beige, secondo un programma cromatico invidiabile messo su dal genio di Roger Deakins. Sperimentale e audace nel raccontare tutta la prima parte rinunciando in pratica ai dialoghi e servendosi solo di sfregamenti meccanici, beep elettronici e immagini, “Wally” omaggia spesso e volentieri il “2001” di Kubrick quando fa emergere gli occhioni dei robot “cattivi” simili a quelli di HAL e qui contraddistinti da un’altra sigla (BnL) con tanto di jingle riconoscitivo composto da Thomas Newman.

Attenzione, sembra dirci Andrew Stanton restituendoci una rilevanza quasi filosofica, “L’alba dell’uomo” è lì a un passo che ci attende, per cui è lecito descrivere una razza umana già morta e sepolta dalle sue stesse immondizie: le rovine dei grattacieli han preso il posto delle scimmie. All’uomo “che comanda” non rimane altro che imparare nuovamente a camminare. O a volare nello spazio, magari grazie a un estintore.

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