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Il mattino ha l'oro in bocca

Regia di Francesco Patierno vedi scheda film

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La recensione su Il mattino ha l'oro in bocca

di ROTOTOM
4 stelle

Il mattino ha l’oro in bocca: anche togliendo l’apostrofo all’intento ossessivo del titolo di rimando kubrikiano, il risultato non cambia. Loro, i malati che nelle fauci del mattino che puzza di ciò che hanno divorato la sera precedente sono già lì a rifarsi masticare, tritare e sputare per ricominciare tutto la mattina successiva. Il peccatore masticato a vita dalla sua personale, Luciferina ossessione è Baldini, estratto a forza dal libro a sua volta estratto a forza dall’esperienza di vita dalla quale il Baldini stesso è riuscito ad estrarsi a forza un attimo prima di farsi definitivamente del male. Dirige Patierno Francesco, che di tutta questa forza evidentemente non sa che farsene.
Il tutto interpretato da un Elio Germano faccia sempre più “meno nuova” del nuovo cinema italiano. Il film regge sulla sua interpretazione, in effetti, che non si limita a scimmiottare il Baldini che il teleutente conosce come spalla di Fiorello, ma ha il merito di leggere il personaggio “come
se fosse” Baldini rispondendo in maniera attoriale alla famosa domanda della Carrà e del suo salotto con i fagioli contati. Se fosse un film? Sarebbe un film di genere se sfruttasse le facce di cinema di serie B convocate per l’operazione; i lemmi della commedia ci sono, vista l’attività di Baldini nella sua vita; oppure un duro j’accuse sul mondo del gioco, oppure la storia di un’epoca passata, quella della radio più famosa d’Italia e dei suoi personaggi. In realtà è tutto questo e nulla di tutto questo, è un tocchettare televisivo tra i vari temi senza affondare la lama nella pancia di nessuno, Patierno non ha il coraggio di prendere una direzione precisa e quindi passa dal cinema generazionale, alla nostalgica rimembranza del bel tempo che fu, spruzzando un po’ tutto di durezza metropolitana stringendo la telecamera sui visi dei personaggi poiché i soldi sono pochi e non si deve far notare a nessuno che in realtà il decennio ’80-’90 è passato da un pezzo e che intorno agli attori impazza il 2008. Il tutto incartato nella carta luccicosa della commedia, che risulta alla fine una commedia sgradevole, un po’ schizzata e malaticcia, in cui il trans genere televisivo la attraversa da parte a parte come una freccia rimasta lì, nel corpo del ferito a provocare infezioni. Così troviamo corpi prestati alla finzione incastrati nei panni di nomi e cognomi noti, Fiorello ad esempio. Facce televisive che si prestano a ruoli di finzione che richiamano personaggi veri, senza nominarli, invece ( Dario Vergassola, sorpresa credibilissima e acida nei panni non dichiarati di Claudio Cecchetto), un cattivissimo Umberto Orsini, strozzino, che dichiara di aver fatto parte del mondo dello spettacolo, una volta, e quasi quasi il giovane Baldini/meno giovane Germano lo riconosce pure. Mandi e rimandi, cortocircuiti mediatici, il mondo della radio abbozzato quel che basta a fornire un set credibile, in cui un po’ si ridacchia, un po’ si sonnecchia, qualcosa ci si domanda e si sbadiglia a volte nei poco efficaci momenti in cui l’ossessione del giovane Baldini in via di demolizione, si manifesta. Una scialacquatezza di materiale che inficia duramente l’efficacia del film, senza contare le figure femminili, sono di contorno e risibili nella sostanza, con una bionda Martina Stella che rifà l’isterica rompiballe che tanto le viene bene e la bruna Laura Chiatti, inchiodata dal perenne broncetto trasgressivo e ribelle ad un immaginario stereotipato della bella di periferia. La bionda e la bruna, vallette di un festival di cinema di poco conto, di poca cura nella ricerca dell’inquadratura, nella messa in scena in generale che risulta sciatta, paratelevisiva come i personaggi che la abitano, preoccupandosi solo di catalizzare l’attenzione sulle capacità di Elio Germano, in grado di sfumare lo sfumabile di un personaggio che la sceneggiatura saltellante avrebbe dipinto con contorni grossolani. Solo una scena spicca per potenza e secchezza, veramente azzeccata, commovente nella sua verità anche se vista la generale mediocrità del tutto non si può non pensare ad una fortuita casualità : l’incontro e il pianto di Baldini/Germano con il babbo, gesti e parole abbozzate che sembrano lamenti profondi che si fondono in umori privati, in una spiazzante dimostrazione di intima umanità e che inchioda lo spettatore ad assistervi costringendolo a fare i conti con il proprio sguardo colto di sorpresa a sbirciare, sguardo che viene voglia di abbassare. Il babbo è uno straordinario Carlo Monni, faccia da cinema di genere come quasi tutti i comprimari, lasciati troppo soli nelle mani di un masticatore di talenti. Peccato, peccato gravissimo.

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