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American Gangster

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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La recensione su American Gangster

di FilmTv Rivista
6 stelle

Un criminale, negli anni 70, importando 100 chili di eroina pura dalla Thailandia grazie all’esercito americano in Vietnam, estende a macchia d’olio la dipendenza dal consumo con dosaggi da urlo e diventa il re del suo smercio. Per quale ragione questa storia, ispirata a fatti reali, dovrebbe spingerci a una particolare indulgenza morale se il criminale in questione è un nero? È la domanda che si è posta una delle riviste più politicamente corrette del pianeta (il “New Yorker“). Forse ci autorizza a farla anche a noi. Ma più interessante del film è il suo cinema. Ha un poliziottto indomabile che con quattro sfigati dichiara guerra al boss più feroce e potente (Gli intoccabili), ha una storia di “rise and fall“ che è l’archetipo del film gangster (da Piccolo Cesare in poi) e un sacco di droga e opulenza kitsch nelle inquadrature (il gusto pop di Scarface di De Palma). I critici americani se la sono un po’ presa per il titolo presuntuoso, a noi sembra sia così sincero: è puro cinema fusion, “tagliato“ da miriadi di schegge di altro cinema da Goodfellas a Serpico, brillantemente tessute dal montaggio di Pietro Scalia e incellophanate dal copione big size, un po’ solenne, come tutti quelli di Zaillian (Tutti gli uomini del re) ma sospinto dalla falcata di Denzel Washington e Russell Crowe. In realtà, il regista dei Duellanti e del Gladiatore, mentre filma le strade come arene pullulanti di vita e di sangue, tenta di convincerci che Frank (il boss) & Richie (lo sbirro) si fronteggiano seguendo codici diversi dalle bassezze del mondo che abitano - ma senza riuscirci. Insomma, il film si manda giù senza mai smettere di deglutire, con il sospetto che tutto ciò che c’è sia già stato fatto meglio altrove. Michael Mann avrebbe reso da fantascienza le notti di Harlem, Scorsese avrebbe innervato di oltraggiosa disperazione la violenza e Oliver Stone il Vietnam che occhieggia qui e lì. Ma Antoine Fuqua (il primo regista designato) ne avrebbe fatto un film straordinariamente più brutto e inutile. Accontentiamoci, dunque: anche se il dosaggio non è da sballo.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 4 del 2008

Autore: Mario Sesti

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