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American Gangster

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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La recensione su American Gangster

di mc 5
8 stelle

Una storia vera. Quella di Frank Lucas che, da autista e factotum di un boss mafioso nero, divenne a sua volta boss, in una irresistibile ascesa, fino a quando il suo cammino non si incrociò con quello del poliziotto "mastino" Richie Roberts, il quale bloccò questa scalata al potere malavitoso e, anzi, ne determinò un'inversione di tendenza fino al crollo dell'impero criminale costruito da Lucas. Il punto di forza della sceneggiatura (curata da Steven Zaillian) sta nella definizione dei contorni dei due personaggi: Lucas, il criminale spietato, è marito e padre esemplare, religioso frequentatore abituale della santa messa, nonchè incline al rispetto delle convenzioni sociali. Dall'altra parte abbiamo il poliziotto integerrimo Roberts (tanto che i suoi colleghi quasi lo deridono perchè una volta che trovò una busta con dentro un milione di dollari li restituì alla polizia anzichè intascarseli lui). Roberts però ha una vita privata incasinatissima, e disordinata, a partire dalla travagliata causa di divorzio che ha in piedi con la moglie, ed è talmente sregolato (ai limiti dell'autolesionismo) che non si fa mancare nemmeno una estemporanea "sveltina" con "l'avvocata" che lo difende nella causa di divorzio. Il merito principale di Ridley Scott (servito -come dicevo- da una buona sceneggiatura) è quello di saper stimolare nel pubblico la lunga attesa dell'incontro fisico fra i due personaggi (che si compierà solo verso la fase finale della pellicola). Questo film è una macchina perfetta dove tutti i settori lavorano al meglio: abbiamo detto di regìa e sceneggiatura, ma un plauso speciale va al montaggio sapiente, soprattutto nella seconda parte, dove si crea un ritmo serratissimo col quale vengono seguiti i percorsi umani dei due protagonisti in modo alternato, e con sequenze sempre piu' brevi, come a preparare -coi tempi giusti- il momento in cui le due esistenze si incontreranno. E in un film come questo il montaggio diventa fondamentale al fine della godibilità della pellicola. Tornando al personaggio di Lucas, è interessante notare la chiave del suo successo sulla scena della malavita e le ragioni di questa irresistibile ascesa. Egli agisce scientificamente da un punto di vista economico, con una propria efficace idea di marketing: nel campo dello spaccio di droga (che è quello per lui piu' redditizio) egli acquista la sua "merce" direttamente nei Paesi del Sud Est asiatico, abbassandone dunque il prezzo e sbaragliando ogni concorrenza; in altre parole è un formidabile imprenditore. Ridley Scott si dimostra qui davvero in gran forma, realizzando un gangster-movie praticamente perfetto, servito peraltro da due attori in stato di grazia, coi quali pare essersi creata un'alchimìa ottimale. Scott, lo sappiamo, è regista piuttosto scostante, capace di dirigere capolavori (e questo pur non essendo un capolavoro è comunque un film riuscitissimo) ma con al proprio attivo anche pessimi lavori o comunque film irrilevanti (tipo il film precedente, in cui lo stesso Crowe si trasformava da squalo della finanza in un improbabilissimo vignaiolo). Dipende dai copioni: se Scott ha in mano un copione scadente, possiamo star certi che ne trarrà un film scadente. E il contrario, naturalmente. Russell Crowe è bravissimo nel ruolo di questo poliziotto "sgualcito" e scombinato, ma che è una inarrestabile macchina da guerra. E quanto a Denzel, dovrebbe fare piu' spesso ruoli da "cattivo" perchè sembrano riuscirgli meglio, anche se le sue scelte ormai da anni si orientano nella direzione opposta. Ma il cast ci riserva altre sorprese degne di segnalazione: il veterano di Hollywood Armand Assante, l'ottimo Chiwetel Ejiofor, e soprattutto l'efficacissimo Josh Brolin, attore che andrebbe rivalutato. Se c'è una cosa assolutamente strepitosa in questo film è la colonna sonora, che si basa quasi tutta su uno spumeggiante repertorio di musica nera, dal rhytm'n'blues all'hip hop, passando per il miglior funky.
Qualcuno ha storto la bocca, evidenziando che la malavita americana raccontata da Scorsese ha un altro spessore e un'altra "poesìa": ma io dico che ci dobbiamo mettere in testa che di Scorsese ce n'è uno solo, e che questo rimpiangerlo (o utilizzarlo come riferimento) ogni volta che al cinema si parla di mafia e crimine, è sterile e non porta da nessuna parte.

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