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Be Kind Rewind. Gli acchiappafilm

Regia di Michel Gondry vedi scheda film

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La recensione su Be Kind Rewind. Gli acchiappafilm

di mc 5
8 stelle

Film bizzarro e sorprendente, ma per un prodotto firmato Michel Gondry ci sarebbe da stupirsi del contrario. Personalmente, pur conservando un meraviglioso ricordo delle visioni di "Se mi lasci ti cancello" e di "L'arte del sogno", non posso soffermarmi in particolari rilievi critici sull'opera complessiva di Gondry, in quanto non ne ho mai approfondito in senso critico la produzione artistica, e dunque la mia valutazione si limita banalmente ad aver visto due (con questo tre) bei film. Per quanto riguarda quest'ultima pellicola, poi, occorre aggiungere una piccola contestualizzazione "di mercato", segnalando che la data di uscita non è una data qualunque ma coincide con l'arrivo nelle sale di uno dei blockbuster piu' ricchi dell'anno (di quelli che in un colpo solo ti riempiono metà delle sale italiane...). Ora: è evidente che le due pellicole non sono in competizione, ma comunque forse una piccola fetta di pubblico, solo curioso e/o inconsapevole, credendolo un film comico-demenziale, se non ci fosse stato Spielberg di mezzo, magari un pensierino ce lo avrebbe anche fatto. Condivido una posizione assunta in rete piuttosto diffusamente: e cioè che il film ha due livelli di lettura, due tipi di approccio. Lo si puo' vedere come accumulo di gag divertenti con protagonisti due mattatori esilaranti. Ma poi esiste un altro sguardo che il film contempla: ed è un'ottica sofisticata e complessa nel maneggiare un sottotesto di riferimenti cinefili che io non credo di essere riuscito a cogliere compiutamente. La vicenda è bizzarra e per molti versi paradossale: a causa di inspiegabili contatti magnetici, in una videoteca si smagnetizzano improvvisamente tutte le videocassette in vendita. E allora il commesso ed un suo amico fanno ciò che di piu' incredibile e di meno plausibile si possa fare: girano loro stessi, con mezzi di fortuna raccattati qua e là, delle versioni domestiche dei celebri film di cui è andato perso il contenuto. Come per tutta l'opera di Gondry, come si può notare, anche qua non c'è nulla di razionale, nulla che vada preso sul serio, nulla di realistico: il Cinema è al servizio dell'Illusione (o viceversa?). E come esercizio di stile possiede un fascino non disprezzabile, ricco di suggestioni fantasiose. A dire il vero non avrei mai immaginato di vedere accostati all'universo fantastico di Gondry due personaggi (e due persone) come Jack Black e Mos Def: non so, mi sembravano troppo materiali, o troppo carnali, per un cinema come il suo. E invece la cosa funziona, dato che i due mettono la loro fisicità al servizio dello stile del regista, generando un effetto spesso spiazzante e straniante. Jack Black comunque è quello di sempre: colui che dedica tutta la sua vita a meritare -forse in un'altra vita- il titolo di erede/successore di John Belushi. Lo affianca Mos Def, con quel suo faccione un pò sopra le righe, e fra l'altro forse non tutti sanno che (perdonatemi la citazione "enigmistica") si tratta di un famoso rapper nero dapprima prestato al cinema ed ora attore quasi a tempo pieno (ho cercato in rete dei video di suoi "live" ed è strano confrontare le sue tutto sommato contenute prestazioni attoriali con le sue esibizioni "rap" in cui sfoggia parecchi dei luoghi comuni da hip-hopper gigione e un pò balordo...). Ma il cast, a parte i due protagonisti, è comunque assolutamente "sfizioso", con partecipazioni -piu' o meno brevi- che non possono lasciare indifferenti. Per esempio alzi la mano chi non è rimasto sorpreso nel ritrovare Kid Creole, un artista che ormai tutti davamo per scomparso chissà dove. E il cammeo di Sigourney Weaver? E una pallidissima Mia Farrow, da quanti anni non la vedevamo al cinema? Su Danny Glover mi sento di spendere qualche parolina in piu', su questo attore (e uomo) davvero singolare che, oltre ad essere una delle icone del pubblico afroamericano, è persona di intenso e raro impegno civile, sociale e politico. Ma -attenzione- nel suo caso andiamo ben oltre le consuete adesioni al partito democratico da parte dei soliti divi di Hollywood: Glover è uno che gira il mondo, a titolo personale e lontano dalle luci dei riflettori, per essere presente ad importanti convegni terzomondisti. E mi sembra di aver letto da qualche parte di una sua "fissazione" per il condottiero venezuelano Simòn Bolivar che guidò i sudamericani alla conquista della libertà. Come accennavo prima, esiste un secondo livello di lettura del film: sofisticato, stratificato, complesso, da cinefili esperti, che testimonia un immenso amore per il cinema. Emblematica di un passato a cui viene tributato affetto e riconoscimenti, la figura leggendaria del jazzista Fats Waller al cui mito viene dedicata l'opera collettiva con cui si conclude il film. La pellicola è anche un omaggio all'atto creativo del "fare Cinema", non importa se con mezzi rudimentali, l'importante è costruire un'opera che abbia una sua ragione poetica condivisa. Il mio rammarico, seguito alla visione del film e alla sua rielaborazione critica, è quello di sentirmi inadeguato a decodificare il senso completo della visione stessa. In altri termini, essendo io un semplice appassionato e non avendo "studiato il cinema" percepisco che forse qualche aspetto del film mi sfugge: pazienza, vorrà dire che cercherò di supplire con una ulteriore seconda visione. Restano comunque nella memoria in ordine sparso numerosi spunti di riflessione, alcuni dei quali provo ad evidenziare. Viene alla mente l'omaggio cinematografico di Tim Burton al cineasta Ed Wood, tributo all'entusiasmo creativo verso un cinema fatto di passione benchè supportato da mezzi dilettantistici, accomunato al film di Gondry dal porsi come una sorta di inno al cinema artigianale: piu' diretta l'opera di Burton, piu' filtrata da processi intellettualistici (piu' ambiziosa?) quella di Gondry. Altro aspetto: il linguaggio metacinematografico scelto dal regista limita l'impatto emotivo dell'opera; l'effetto è che chi si aspetta un film comico-spettacolare tout court, rimane probabilmente deluso dal fatto di trovarsi di fronte ad un mood lievemente malinconico anzichè ad uno scintillante intrattenimento umoristico. E poi, ancora, viene mostrata un'idea di cinema come motivo di aggregazione sociale: aspetto questo fondamentale in un'epoca in cui siamo bombardati da innumerevoli sollecitazioni tecnologiche ad una fruizione sempre piu' individuale e solitaria del prodotto cinematografico. Poi c'è un altro discorso, altrettanto importante...Cos'è il Cinema se non FINZIONE che diventa ILLUSIONE? Ecco il punto. Però, perchè questo assunto si realizzi occorre che dall'altra parte dello schermo ci siano occhi e cervelli che CREDANO in ciò che vedono, che siano cioè disposti a lasciarsi prendere per mano e condurre in questo affascinante viaggio magico. Dove sta il problema? Beh, nel fatto che, in nome della Suprema Tecnologia, tutto ciò sta riducendo il proprio appeal sinceramente genuino. Il ragionamento è il seguente; oggi nel cinema effetti speciali sempre piu' sofisticati tendono a fornire verosimiglianza a vicende sempre piu' fantastiche, e per di piu' gli "extra" dei DVD tendono a spiegare tali trucchi in modo sempre piu' esaustivo: tutto questo fa a pugni con un concetto basilare, cioè con quel patto che in origine si dovrebbe stringere fra il "Mago" (chi fa e produce cinema) e il fruitore del "Numero di Magia" (lo spettatore), un patto che si basa tutto sulla disponibilità a CREDERE NELLA MAGIA, senza "se" e senza "ma". Se tutto ciò viene meno, il senso stesso di cinema ne esce svilito e falsato. Chiedendo scusa per il delirio di prolissità che mi ha assalito, concludo con due considerazioni: a) - Non è curioso, ad otto anni di distanza da "Alta Fedeltà", rivedere Jack Black all'opera stavolta in una videoteca anzichè in un negozio di dischi?? b) - Non è suggestivo quel sotto-finale con tutti quegli occhi incantati ad osservare lo scorrere delle immagini e che ci riporta ad atmosfere tra Fellini e Tornatore??
Voto: 10

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