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La giusta distanza

Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film

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Paul Hackett

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La recensione su La giusta distanza

di Paul Hackett
4 stelle

A volte ho l'impressione che tra le crime stories americane e quelle italiane (al di là della ovvia maggiore disponibilità di mezzi delle prime) ci sia una semplice ma sostanziosa differenza: le storie ambientate negli USA, per noi italiani, sono in qualche modo "esotiche" e lontane, appartengono ad un mondo "altro" che conosciamo solo superficialmente e, soprattutto, attraverso la lente deformante dei luoghi comuni o della nostra personale ricostruzione ideale di quella società. In sostanza i registi americani possono ammanirci le vicende più assurde, inverosimili, iperboliche senza che, paradossalmente, ne soffra la credibilità dei film. Diamine, è L'AMERICA, tutto in quel luogo mitico ed improbabile è dannatamente possibile, non c'è praticamente limite a quello che può accadere in quell'immenso parco giochi (ovviamente a pagamento) che si estende tra Boston e Los Angeles. Un noir, in questo modo, acquista tutto un altro sapore, un'altra consistenza. In Italia no, non è proprio possibile bluffare: il nostro paese lo conosciamo troppo bene e un film, soprattutto una crime story, per essere credibile, deve rappresentare mimeticamente la realtà, il gioco non deve essere mai "sgamato", la messinscena perfetta. Il problema della "Giusta Distanza" è proprio che, nonostante il tono minimalista e dimesso, nonostante la rappresentazione (apparentemente) realistica della vita di paese e la banalissima natura del male messa in scena, il film di Mazzacurati, semplicemente, non è credibile. La pellicola, infatti, è piena di piccole incongruenze, passaggi a vuoto, dettagli improbabili... tutto è troppo superficiale e costruito, a cominciare dai caratteri dei personaggi: Valentina Lodovini (di una bellezza sfolgorante ma francamente fuori ruolo) più che una maestrina precaria con vaghe velleità terzomondiste sembra appena uscita dal paginone centrale di Playboy, Ahmed Aflene, improbabile meccanico dalle mani sempre linde e pinte e dall'abbigliamento curato, sfiora a tratti il ridicolo involontario con un'assurda proposta di matrimonio dopo qualche fuggevole appuntamento e un'espressione imperturbabile (e immobile) anche di fronte alla terribile accusa di aver ucciso la donna amata, Giuseppe Battiston ormai riproduce se stesso all'infinito come un fiacco cliché, Natalino Balasso, simpatico villano con indefinite ed impossibili conoscenze tecnologiche, semplicemente è un personaggio che non sta né in cielo né in terra, Fabrizio Bentivoglio gigioneggia al minimo sindacale e preferisco calare un velo pietoso sul giovane Capovilla, con i suoi scoop dalla estrema provincia dell'impero. La sceneggiatura del film, poi, con la scusa del minimalismo è fin troppo scarna ed essenziale con un intreccio giallo francamente risibile (si capisce chi sarà l'assassino fin dalle prime scene) ed un messaggio di fondo che si fa fatica a cogliere: la vita di provincia viene descritta in maniera affettuosa ed amabile per buona parte del film per poi trasformarsi improvvisamente in aperta critica, il fatto che la vittima dell'errore giudiziario sia un arabo, poi, sa francamente di buonismo un po' d'accatto. Anche la descrizione d'ambiente mi ha lasciato molto perplesso: Mazzacurati conosce bene il Polesine, avendoci già ambientato un giallo nel lontano 1987 (il gradevole "Notte Italiana"), ma questa volta decide di operare una discutibile "estetizzazione" dei luoghi: in sostanza provate a confrontare le immagini del Polesine de "La giusta distanza", leggermente sovraesposte, quasi slavate, "vuote" piuttosto che "piene", sospese in una sorta di limbo, con le splendide fotografie del compianto Luigi Ghirri, la somiglianza è a dir poco evidente... insomma... il realismo di Mazzacurati è fin troppo estetizzante, elegante e patinato per essere davvero credibile, l'ennesima incongruenza, l'ennesimo paradosso di un film che trovo assolutamente sopravvalutato. Voto mediocre.

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