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Onora il padre e la madre

Regia di Sidney Lumet vedi scheda film

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La recensione su Onora il padre e la madre

di MarioC
9 stelle

Due fratelli in odore di povertà, ed in certezza di meschinità, decidono di compiere un crimine ai danni di persone a loro molto, troppo vicine. Qualcuno morirà, qualcuno ne uscirà vivo, ma dopo aver riscritto i comandamenti con inchiostro nerissimo.

Un noir cupo, angosciante, imparentato con la filosofia e percorso da una disperazione che non lascia scampo, ravvisabile in ogni inquadratura, in ogni dialogo di quello che è un perfetto congegno ad orologeria, un appassionato e desolante ritratto della caducità dei valori e della insussistenza di punti fermi.

 

 

Esaurita l’eco dell’ultima scena, l’assunto appare chiaro: buon sangue non mente e, sì, il personaggio interpretato da Philip Seymour Hoffmann (la cui grande prova desta, come di consueto, sincera ammirazione) è davvero figlio di suo padre, della sua ostinazione malata, del suo porsi al di sopra delle regole, fosse anche per una legittima sete di vendetta. Sidney Lumet si dà al pessimismo quasi cosmico e ad esso si concede ponendo sul tappeto tutti i possibili virtuosismi tecnici che una storia del genere poteva consentirgli: sceneggiatura (di Kelly Masterson) che si reitera, si rifrange, si aggomitola su se stessa per offrire allo spettatore la diversità dei punti di vista, o meglio il modo con il quale ogni singura figura di questa spossante tragedia greca approccia gli avvenimenti e da questi risulta più o meno schiacciata; musica incalzante ed evocativa (di Carter Burwell, non proprio un musicante di Brema); parco attori extralarge ed extralusso (di Hoffmann inutile dire di più, ma notevolissime risultano anche le prove di un Albert Finney da brivido, di Ethan Hawke, fratello minore e minorato psichicamente, ingranaggio debole eppure l’unico, forse, ad uscirne indenne, di Marisa Tomei, mai così sexy ed attraente).

 

 

La grandezza di Onora il padre e la madre sta nel disegnare un mondo che ha perso il filo d’Arianna degli affetti. La catastrofe incombe o forse ne siamo già tutti spettatori, in attesa di diventarne protagonisti: lo insegnano gli sguardi di Hoffmann e del fratello, gli uni fermi e sicuri, con guizzi di felina ironia e noncuranza, gli altri spauriti eppure attratti dalla prospettiva di quello che si preannuncia(va) come il più facile tra tutti i guadagni possibili; entrambi però figli (appunto) di quella desolazione interiore che fa apparire il superamento di ogni stigma morale e sociale come unica via percorribile. Non c’è dedizione al lavoro (Andrew, il fratello maggiore, è in forte odore di irregolarità contabile, invischiato in quella che lui stesso definisce quale creativa contabilità immobiliare, l’altro è il classico spiantato con figlia a carico), non c’è amore (per ritrovare l’intimità perduta Andy e la moglie devono concedersi una vacanza in Brasile, con conseguente ed epifanico sesso selvaggio, probabilmente speziato dalla cocaina – è peraltro curioso come anche God’s Pocket si apra con una scena di sesso, un po’ più ordinario, tra il personaggio di Hoffmann e la moglie-), non c’è regola che tenga (la possibilità di svaligiare la gioielleria di famiglia, ovvero a conduzione familiare, appare immensamente più coinvolgente dei pianti che ne seguiranno), non c’è capacità di fermarsi ed accogliere con serena posa adulta le proprie responsabilità (l’escalation di violenza è il totale algebrico della impossibilità di gestire un gioco che si è fatto pericoloso e incontrollabile).

Filosofia, dunque. Pessimismo senza appello, di un vecchio regista che rielabora topoi e reinventa vecchie/nuove angosce, aggiornando il dizionario della malvagità a questi tempi di funerei neologismi comportamentali. Il tutto in una confezione che, letteralmente, ti prende e ti lascia lì inebetito. I continui flashback e flashforward conferiscono al film una struttura rapsodica che ne acuisce le già immense virtù. Il titolo originale recita: Before the Devil Knows You’re Dead. Il Diavolo potrà pure non saperlo, e si potrebbe anche riuscire ad anticipare l’assunzione in cielo prima della scoperta delle malefatte perpetrate; il guaio è che questi personaggi, così veri, così metropolitani, così modernamente indifesi, credono di aver agito per mera necessità. Troppo spesso, e grazie a Lumet per avercelo ricordato, nemica della verità.

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