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La promessa dell'assassino

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su La promessa dell'assassino

di ROTOTOM
8 stelle

La “nuova carne”, postulato del cinema di David Cronenberg, questa volta viene dall’Est nelle sembianze della mafia russa, arriva con le sue promesse disattese, con la sua violenza quasi tribale, con l’insinuare sotto la pelle della società le sue larve di parassita che genereranno nuove infezioni, nuove società perfettamente mimetizzate con la società/corpo principale. Infezione, mutazione, linguaggio della violenza. La nuova carne parla di questo, del doppio che abita ogni essere umano disumanizzandolo quanto basta da renderlo abbastanza seducente da non estinguersi nell’indifferenza, parla di nuove forme che si nascondono in quella conosciuta e rassicurante, pronte a rendersi palesi e a creare un nuovo ordine laddove esista il caos. Voltandoci indietro vedremo in “Rabid -sete di sangue” i parassiti prendere possesso del corpo-uomo; in “Breed- la covata malefica”, l’odio genera una nuova razza; ne “La Mosca”, la nuova forma ha diverse e sorprendenti caratteristiche al di là della repulsione; ne “Inseparabili” il doppio è mostrato in tutto la sua affascinante ambiguità; fino ad arrivare a “A History of Violence”, in cui il doppio si cela nell’anima. Questo il percorso di Cronenberg negli anni, l’inoculamento delle proprie ossessioni sempre più in profondità, fino ad arrivare al fine ultimo dell’essenza umana. “AHoV” è di fatto speculare a “La promessa dell’assassino” e Viggo Mortensen funge da immagine scarnificata dello stile che il regista adotta per questi due film che di fatto formano un dittico inscindibile. Scavato e irregolare nei lineamenti, glaciale nello sguardo e trattenuto nella recitazione, si fa mentore e corpo dell’idea del doppio cronenberghiano, idea di cinema del regista canadese . Film rigoroso e asciutto, estremamente compatto e sfoltito di qualsiasi svolazzo autoriale, nonostante la crudezza e la metallica crudeltà che mostra, non concede nulla alla stilizzazione della violenza, atteggiamento in controtendenza al cinema mainstream che sposta l’attenzione dello spettatore sulla fascinazione del gesto rendendolo di fatto seducente, nel cinema di Cronenberg la violenza non è mitizzata, è violenza e basta necessaria per sopravvivere, è scarna e odora di corpo, di sangue e sudore. Quel sangue che irrora i primi devastanti dieci minuti di “La promessa dell’assassino”, corpi lacerati, smembrati, sangue denso su pavimenti lucidi e morte che genera una nuova nascita. La promessa disattesa del titolo originale del film in cui Tatiana quattordicenne russa trova la morte dando alla luce la figlia dopo essere stata violentata e torturata dal patriarca dei mafiosi russi, il mefistofelico Semyon (Armin Muller Stahl), non prima però di affidare ad un diario la propria storia. Grande attenzione viene riposta nella descrizione della famiglia, anch’esso corpo-cellula della società che si infetta di violenza così come la famiglia di Anna (Naomi Watts) entra in contatto con la “famiglia” mafiosa e nella quale viene inglobata per essere distrutta. Il ristorante-ventre che funge da copertura alle attività della cellula-famiglia mafiosa è di un emoglobinico colore rossastro le cui porte si aprono e si chiudono sul mondo grigio londinese come una ferita purulenta sempre fresca, mai cicatrizzata, squarcio nella normalità che provoca attrazione e al tempo stesso repulsione. E’ la mutazione, la carne che cambia aspetto mostrando l’interno, ciò che non ci è dato normalmente da vedere e che si ritiene non esistere finchè non lo si tocca con mano. La mutazione della società da urbana e civile dettata da regole conosciute in qualcosa che ha altre regole, altri codici, altre scale di valori e soprattutto altri linguaggi. Proprio il linguaggio è il cardine attorno al quale ruota questo superbo film: idiomi alieni che si sovrappongono gli uni agli altri, la barriera di incomprensibilità e segreti si sgretola di fronte ad un piccolo diario attraverso il quale il passato ritorna e accusa, svela il mostro che sta dietro un piccolo vecchio uomo. Linguaggio del corpo nella gerarchia dei capi, nella dimostrazione di virilità alla quale è sottomesso Nikolaj chauffeur-guardia del corpo-tuttofare del figlio del capo, esibendo un amplesso disperato e triste. Corpo portatore di messaggi, di tradizione, il verbo che si fa carne nei tatuaggi che narrano la storia di chi li porta addosso. Corpo che è tensione sessuale repressa , quella di Kirill (Vincent Cassel ) il figlio del capo ambiguamente attratto dall’amico o esplosa come una polluzione, violentemente provocata: la lotta nella sauna di Nikolaj (Viggo Mortensen) completamente nudo con i due sicari ceceni eccelle per sensuale brutalità, i corpi si fondono in un selvaggio amplesso-scontro, la nudità decorata di storia di Nikolaj viene aperta e violata dai coltelli dei nemici prima che essi cadano sotto i suoi colpi e mostra la verità che si cela nelle ferite aperte come pagine di un libro, la mutazione è negli squarci, la posizione fetale di Nikolaj a fine lotta suggerisce una nuova nascita dopo la morte come lo fu la neonata a inizio film. Egli è uguale e opposto al Tom Stall di “AHoV”, quello che si siede silenzioso a tavola al cospetto della famiglia conscia di avere un uomo diverso accanto, ne “La promessa dell’assassino” è silenzioso e solo nella sua doppiezza mentre l’abito elegante nasconde il corpo-libro, la divisa dell’uomo di potere riconosciuto che nasconde la storia di violenza e malvagità alla quale egli appartiene e che nel contempo assurge a unico nemico di essa, come un parassita finalmente impiantatosi nel corpo ospitante. Nello sguardo fisso verso il futuro si scorge la consapevolezza di un uomo nuovo, moderno, perfetto prototipo della “nuova carne”.
Splendido film di attori e ambienti, fotografato impeccabilmente da Peter Suschitzky, Eastern Promises è film di sottotrame suggerite e stratificate. Scontro di culture e linguaggi, melting pot di lingue, scontro di sessi. Cronenberg è profeta ispirato della propria poetica e costruisce il meccanismo del film secondo regole consolidate e collaudate ma mai fini a loro stesse, un thriller classico che nasconde al suo interno tutta l’ambiguità degli stilemi cronemberghiani e che usa quel meccanismo per elevarli a potenza. Il raggelante sguardo di Nikolaj, in un finale di brutale ambiguità, riassume tutta la poetica del regista canadese che con Eastern Promises realizza un disilluso canto di morte che si fa carne, Nuova Carne, in un film di straordinaria consapevolezza stilistica. Da rivedere in lingua originale per godere appieno del grande lavoro sulla voce e sulla recitazione in russo degli attori, cosa che in parte con il doppiaggio si è persa. Film da non perdere.

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