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Un'altra giovinezza

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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La recensione su Un'altra giovinezza

di logos
8 stelle

Dall'omonimo romanzo di Mircea Eliade, filosofo e storico delle religioni, Francis Ford Coppola, con Youth Without Youth, presenta un’opera complessa, contrassegnata da tematiche filosofiche esistenziali e metafisiche.

Nella sua Romania, il settantenne Dominic, colto linguista (un grande e favoloso Tim Roth), ha speso tutta la sua esistenza nella conoscenza, soprattutto per cercare di comprendere le lingue orientali e le origini antropologiche del linguaggio, sacrificando persino l’amore della sua giovinezza, la sua amata Laura, che lo aveva lasciato per dargli la completa libertà di ricerca, salvo poi sposarsi e morire di parto l’anno successivo.

Assalito dal ricordo di quel giovane amore, in cuor suo mai abbandonato, pieno di rimpianti contro uno studio che ha perseguito invano senza poter concludere il suo libro, Dominic si trascina nella sua esistenza senza più senso, e in un tempo storico che oltretutto non promette nulla di buono con il nazismo incipiente, nel 1938, nel giorno di Pasqua, decide di farla finita ma, prima che possa compiere il suo atto finale, un fulmine lo colpisce, lasciandolo steso sul selciato, di fronte alla stazione di Bucarest.

 

Lo ritroviamo in ospedale avvolto nelle bende come una mummia, i medici cercano di comunicare con lui solo con il movimento della mano, ma nulla sembra poter segnalare a sfavore di un’irreversibile agonia. E invece accade qualcosa di sorprendente, non solo gli spuntano nuovi denti, ma progressivamente comincia a ringiovanire fino all’età di quarant’anni, con un notevole potenziamento della memoria, che gli consente persino di sondare conoscenze che vanno al di là di quelle acquisite, in una sorta di reminiscenza, fino a dialogare con la sua parte più sepolta del Sé, che diventa il suo Doppio, con il quale può concretamente confrontarsi nelle sue introspezioni, per ricominciare la sua infaticabile ricerca nello studio del linguaggio. Il medico che sta studiando il suo caso (ottima interpretazione di Bruno Ganz), per proteggerlo dai nazisti, i quali lo vogliono catturare e analizzare per cercar di generare il super uomo, gli fornisce una nuova identità e ciò gli consente di schivare le potenze dell’asse ma anche quelle degli alleati.

 

 

Il nostro protagonista vuole insomma mantenere una posizione neutrale, perché approfittando di questa nuova giovinezza vuole proseguire i suoi studi, e in effetti giunge a conoscenze inedite, talmente complesse che li deve codificare in una lingua da lui inventata per poterle esprimere. Si tratta insomma di conoscenze di cui le lingue umane sono sprovviste della semantica e della sintassi, e con questo linguaggio artificiale registra tutto il suo sapere affinché l’umanità veniente, del XXI secolo, possa decodificarlo e usufruirne all’insegna della pace e della convivenza civile a livello planetario. L’opera segue Dominc in tutte le sue peregrinazioni in correlazione con lo svolgersi degli eventi storici, fino al 1953, con la guerra in Corea.

Proprio in questo periodo ha l’occasione di incontrare per caso una donna, Veronica, che si direbbe una vera e propria incarnazione dell'amata Laura, l’unica donna di cui era innamorato nella sua giovinezza e che non ha mai cessato di scordare. Si scambiano soltanto uno sguardo, qualche cenno di saluto, e un augurio di buone vacanze, ma, sempre per coincidenza, Veronica e la sua amica hanno un incidente con la macchina, la donna viene ritrovata in una fossa in completo stato di shock, ma solo Dominc è in grado di poterla comprendere, perché in realtà la mente di Veronica è regredita a un’esistenza remota, parla in sanscrito ed è convinta di vivere in India, facente parte di una delle prime famiglie che si sono convertite al Buddhismo.

 

Dominic con le sue conoscenze che ha approfondito con il suo Doppio, non trova nulla di strano che le esistenze possano superare le barriere spazio-temporali, secondo la circolarità del tempo peculiare delle filosofie orientali e presocratiche, e perciò trova nell’orientalista Giuseppe Tucci un’autorevole conferma, quanto basta per persuadere l’équipe medica di esperti di intraprendere un viaggio in India, per trovare la conferma che quanto Veronica afferma in sanscrito sia veritiero. Il viaggio e il sopralluogo in India confermano del tutto le affermazioni della donna, il che sembra essere una prova empirica della metempsicosi. Ciò ha un grande impatto mass mediatico, ma Veronica, ritornando cosciente nella sua identità come Veronica, si appoggia sempre più a Dominic, fino al punto che si innamorano, e decidono di fuggire a Malta, per conoscersi meglio, e per essere lontano dai riflettori.

 

Sennonché è proprio il potere di Dominic, e soprattutto del suo Doppio, che induce la povera donna a regredire in esistenze passate. La tentazione di Dominic di seguire il suo Doppio nel far regredire Veronica fino al linguaggio primordiale è troppo forte, ma il prezzo che lei paga è disumano, in particolare le procura un’astenia progressiva e un invecchiamento precoce. Ciò è quanto basta per giungere a una decisione drastica: Dominc, a differenza del suo Doppio, decide di lasciare per l’ennesima volta Veronica/Laura, dicendole tutta la verità, la sua vera età ma anche il destino di morte che la attende se continuerà a rimanere con lui.

Con grande dolore, Dominic ritorna nella sua Romania, e dopo una conversazione accesa con il suo Doppio lo annienta rompendo lo specchio in cui è riflessa la sua immagine.

 

In effetti Dominic ha vissuto un’altra giovinezza, ma con quale risultato? Di ripetere la stessa giovinezza di un tempo, una giovinezza senza giovinezza, senza amore, esclusivamente dedicata alla conoscenza, la quale, tra l’altro, proprio perché mira alla perfezione del genere umano, non disdegna neppure, secondo quanto afferma il suo Doppio, le possibili catastrofi nucleari attraverso cui l’umanità dovrà ancora passare, perché proprio attraverso di esse, con le scariche energetiche annesse e connesse, potrà dischiudersi un’umanità perfetta. Ma Dominc rompe questo circolo infernale della conoscenza, annienta il suo doppio, e va al suo vecchio Caffè, ma lì ritroverà i suoi vecchi amici di un tempo, proprio nell’anno in cui li aveva lasciati all’inizio del film quando aveva l’intento di suicidarsi, nel 1938. Prova a dire delle sue conoscenze, di quanto il mondo sia cambiato nel frattempo durante gli anni Quaranta e Cinaquanta, ma gli amici increduli continuano a sostenere che non ne sanno nulla, che l’anno in cui stanno vivendo è quello del 38, e che stavano aspettando proprio il vecchio Dominic dalla sua guarigione. Dominic crede che sia tutto un sogno, non gli pare possibile di essere negli anni Trenta, scappa dal locale, progressivamente invecchia di colpo persino anche a se stesso, e verrà trovato morto congelato il giorno dopo, con il suo documento riportante la data di nascita 24 aprile 1938, proprio il giorno in cui venne colpito dal fulmine, all’inizio del film.

 

Mi sono soffermato molto sulla trama, più che altro per riordinarmi le idee. Quel che vorrei sottolineare è che in tutta questa vicenda complessa e intricata, ciò che mi colpisce è comunque la linearità della sceneggiatura. In secondo luogo vi è la commistione di elementi filosofici metafisici e esistenziali, solcati da una panoramica ineccepibile sugli eventi storici. Tematiche come il tempo, l’eterno ritorno, il velo di Maya, la reminiscenza, il Sé e le identità multiple via via sedimentate nelle esistenze precedenti, ricorrono costantemente nell’opera, per conseguire un dialogo tra Occidente e Oriente, in una sintesi di opposti che raffigurano il senso stesso dell’Essere onniabbracciante, dove gli opposti si identificano e sfumano l’uno nell’altro. In questo senso il Doppio diventa un architrave dell'opera: doppia è la giovinezza, doppio è il protagonista, doppio è il suo amore, ma doppio è anche in generale ogni determinazione e il suo opposto, come la notte e il giorno, la mascolinità e la femminilità, la terra e il cielo, gli angeli e i demoni, la guerra e la pace, la morte e la vita. Ma quel che poi emerge in tutto questo vertiginoso dialogo metafisico, senza eludere Jung e Nietzsche (coincidenze e eterno ritorno) è la singolarità dell’esistenza, nella sua coazione a ripetere, che vive un’altra giovinezza sulla falsariga di quella precedente, con l’inevitabile conclusione di ritornare al punto di partenza, chiudendo il cerchio cosmico nel proprio cerchio esistenziale, come punto nevralgico dell’Assoluto, che ha risucchiato quell’esistenza ma consumandosi in essa. Si tratta certamente di un viaggio esplorativo, sperimentale, non solo nella sceneggiatura messa in opera nella regia, ma anche nella regia stessa, che si avvale di avvicendamenti di scene che sfumano l’una nell’altra tra il reale e l’onirico, con ambientazioni realistiche e al tempo stesso spaesanti, che rivelano un marcato equilibrismo tra l’ordine e il caos, tra l’apollineo e il dionisiaco, in cui alla fin fine sembra venir fuori come l’anzianità della giovinezza sia la giovinezza di un anziano, dirottando il discorso in una cifra personale dell’autore, che non si è mai stancato di provare, rinnovarsi e mettersi in gioco nella sua arte.

 

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