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Sogni e delitti

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Sogni e delitti

di scapigliato
8 stelle

Woody Allen, che ormai dopo questa seconda riuscitissima prova nel racconto nero possiamo ribattezzare “Woody ALIEN” per l’anomalia, sa bene come tra commedia e dramma e tragedia i confini siano labili e a separarle tra di loro ci pensa ormai solo il registro autoriale, visto che oggi la tragedia investe anche personaggi meno nobili. Se i distributori italiani, invece che perpetuare nello scempio delle rititolazioni, avessero mantenuto il titolo originale, la visione sarebbe sembrata più chiara e più “tragica” anche al più profano degli spettatori. La Cassandra’s Dream del titolo è la barca dei due fratelli, su cui nasce, si sviluppa e finisce la vicenda. Come la Cassandra della mitologia greca, anche qui abbiamo preveggenze e pessimismi che logorano, divorano e allucinano i personaggi. Vanno però fatte certe distinzioni tra i due fratelli, Ian e Terry. Il primo, ovvero Ewan McGregor, davanti al primo ovvio timore verso l’omicidio, acquista sempre più fiducia: è il cervello, come dice la madre. Il secondo, Colin Farrell, è invece il corpo, il fisico, ed è la vera “cassandra” del film, se mai ce ne fosse una. Investiti dai debiti di gioco del più carnale dei due, Farrell, i fratellini di Londra scendono a patti con il gigionesco zio Howard, alias Tom Wilkinson, in nome della famiglia. Per risanare i debiti e crearsi un buon futuro i due dovrebbero uccidere un ex-socio dello zio che, immischiato in qualche merdata, rischia il carcere a vita se il vecchio socio testimonia contro di lui. Presi e stretti da preveggenze pessimiste i due arrivano lo stesso a decidere per il luttuoso da farsi. Così, tra atmosfere chiccose e classiche, come il giallo brit insegna, pizzicati dallo humor del regista che da americano si fa british, il film si concentra soprattutto sul duello di caratteri tra i due attori davvero in gran forma, una coppia improbabile che funziona. McGregor va detto, è quello che carisma maggiormente il personaggio, e a conti fatti ci piace di più. Farrell, invece, pur sempre essendo un bue da macello, solido e fisico come pochi attori oggi, è più gigione e patetico. La regia teatrale di Woody ALIEN è azzeccatissima. Noi spiamo il farsi e disfarsi degli umori e delle pressioni, delle paure e delle angosce, da una scena reale, con una mdp volta ad inquadrare l’inutile. Dove alcuni registi avrebbero staccato sul primo piano del controcampo, Allen decide invece di tenere tutto fuori quadro. Come se fossimo proprio ad una prima teatrale. Mancano tra l’altro veri e propri primi piani: me ne ricorco due o tre su McGregor. E questo concilia il fare cinema con la sua precedente forma teatrale, mettendoci davanti ad una vera e propria messa in scena. Il teatro, si sa, è catartico, terapeutico, ma lo sono pure il cinema e la lettura, per non dire la scrittura. Ed ecco che Woody Allen porta fuori da noi, impressionato sulla pellicola, il fato tragico che però, paradossalmente, siamo proprio noi a scegliere. Il finale, come il precedente “Match Point” capovolge le aspettative (non molto in questo caso), ma nella morte di entrambi i fratelli, che sul più bello devono confrontarsi su valori come la blasonata famiglia dalla quale poi nascono gli orrori peggiori, così come l’onore, la morale, il Bene e il Male, nella loro morte, dicevo, non c’è nulla di consolatorio. Lo spettatore non esce rincuorato, credendo che hanno pagato, poveri e in buonafede, il loro inutile delitto (parallelizzato alle altrettanto inutili morti della sporca guerra). Non c’è nulla di consolatorio, moralistico o positivo in due fratelli che s’ammazzano tra di loro anche se colpevoli di un delitto, visto che là fuori c’è sempre un morto innocente e uno zio ricco e potente che la galera la vedrà solo da una cartolina. Impietoso.

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