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Lontano dal Vietnam

Regia di Jean-Luc Godard, Joris Ivens, Agnés Varda, Alain Resnais, William Klein, Claude Lelouch vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Lontano dal Vietnam

di yume
8 stelle

“Noi siamo lontani dal Vietnam e il Vietnam delle nostre emozioni e indignazioni a volte è lontano dal vero Vietnam quanto lo sarebbe l’indifferenza.Viviamo in una società che ha spinto molto oltre l’arte di nascondere i propri fini, le proprie vertigini e soprattutto la propria violenza”.

 

Nel 1967 in Francia sei registi (Godard, Varda, Resnais, Ivens, Klein e Lelouch) girarono  un film collettivo, diviso in 11 sequenze con introduzione ed epilogo, prodotto e supervisionato da Chris Marker:

1) Bomb Hanoi!

2) A parade is a parade

3) Johnson piange

4) Claude Ridder

5) Flashback

6) Camera Eye

7) Victor Charlie

8) Why We Fight

9) Fidel Castro

10) Ann Uyen

11) Vertigo.

Le riprese in diretta furono girate da Ivens, Lelouch e Klein, (Ivens aveva già una lunga esperienza avendo girato  Le 17ème paralléle e Vietnam en guerre).

Il film non fu mai messo in onda in tv, passò dopo anni nelle sale cinematografiche e ben presto fu ritirato per allarme attentati, dopo il ritrovamento di ordigni (tornano alla mente tristi precedenti, come  i topi sguinzagliati dai nazisti nelle sale di Berlino, dove nel ’30 si proiettava All’ovest niente di nuovo).

Nel ’67 il conflitto in Vietnam era al suo apice, la politica di escalation inaugurata nel ’65 da Johnson stava dando una visibilità intollerabile a quella storia che ormai durava da troppi anni lì, in Indocina, e l’America aveva buttato “…oltre un milione di tonnellate di bombe sul Vietnam del Nord, più di quelle lanciate sulla Germania durante la II Guerra Mondiale”, dice la voice over nel prologo del film, mentre vediamo caricare mucchi di bombe sulle portaerei nel golfo del Tonchino.

Un paese in cui 200 milioni di abitanti spendono per la carta da pacchi più che i 500 milioni di indiani per nutrirsi, ha molti mezzi da offrire al proprio esercito……E’ una guerra da ricchi.

Prima erano stati i Francesi, poi l’America era subentrata alla grande e così era diventata la guerra dei ricchi contro i poveri; l’imperialismo americano, caso mai fosse sfuggito prima, in occasione delle due guerre mondiali, in Vietnam si produsse nella sua pérformance migliore, bisognava, come dice il generale Westmoreland all’assemblea: ”difendere i Vietnamiti da sé stessi”, il pericolo comunista incombeva e dunque una guerra “giusta” era d’obbligo.

Ma i 17 milioni di Vietnamiti “… sono i più poveri, ma non i più deboli…..perchè è lì che si pone la questione fondamentale del nostro tempo:il diritto dei poveri di creare, per progredire,società basate su qualcosa di diverso dagli interessi dei ricchi.”

La prima guerra in diretta televisiva trovò, negli anni sessanta, case ormai piene di televisori, nulla sfuggiva, tutto si vedeva, o quasi.

C’era modo di deprecare, scendere in piazza e protestare, e il ’68 fu anche questo, il Vietnam divenne la bandiera per chiunque si dichiarasse per la libera autodeterminazione dei popoli.

A visione ultimata restano scolpiti nella memoria i quadri di vita quotidiana in luoghi dove ogni giorno, per anni, piovvero bombe, quel rifugiarsi dentro buche scavate nei marciapiedi al suono della sirena, quella calma nel resistere e inventare strategie di difesa di poveri che subirono “un crimine quotidiano”(Ivens disse che “a forza di vivere con loro si diventa calmi come loro, e sicuri della vittoria”).

Spezzoni da manifestazioni nelle strade dell’Occidente progredito, scontri con la polizia e le solite parole dei potenti, il vicepresidente Humphrey per la circostanza, venuto nel ‘67 “a farsi un’idea sull’Europa e su cosa pensa della politica americana ”, che suonano criminosa mistificazione messe vicine alle riprese dei morti dopo il bombardamento di Hanoi nel dicembre ’66.

Ma ci fu anche, e furono molti, chi sfilò con cartelli “Meglio morti che comunisti ”, vennero da tutto il mondo a New York per sostenere l’America: “America, il mondo libero conta su di te! ”, sfilavano preceduti da banda e majorettes, c’era anche il cardinale Spellman, un pope s’intravede a distanza e John Lindsay, sindaco, fa una bella battuta molto american style:Beh, è una parata, e una parata non è che una parata!”.

Poi tutti recitano il Pater noster mentre in giro ci sono poliziotti sorridenti.

 

Ognuno dei sei registi ha dato alla sua testimonianza il taglio che la sua poetica gli ha suggerito, come Godard che sceglie il “saggio filmato” e in Camera Oeil parla da dietro la  mdp del suo disagio di star lì invece che sul posto e della decisione di “farsi invadere  dal Vietnam” nel suo quotidiano, nei suoi film, in qualunque modo, “perché è difficile parlare delle bombe quando non ti cadono sulla testa… e si ha un bel dire che il nostro cuore sanguina, ma di fatto questo sangue non ha alcun rapporto con quello di un qualsiasi ferito”.

Resnais mette in scena l’intellettuale parigino impegnato, Claude Ridder, che deve recensire un libro di Kahn sull’escalation, “ voce contraddittoria, patetica e a suo modo onesta, la voce della cattiva coscienza e dunque della malafede”.

Nel frammento 9 Fidel Castro fa una lezione sulla guerriglia, lotta armata imposta dagli oppressori al popolo, e ancora riesce a commuovere sentire le parole di Ann Uyen, nel frammento 10, ricordare il sacrificio di Norman Morrison, cittadino americano che nel ’65 si diede fuoco davanti al Pentagono per testimoniare la violenza fatta ai vietnamiti dai suoi compatrioti.

Un film datato? Certo, 1967, ma queste parole suonano ancora attuali:

Noi siamo lontani dal Vietnam e il Vietnam delle nostre emozioni e indignazioni a volte è lontano dal vero Vietnam quanto lo sarebbe l’indifferenza.Viviamo in una società che ha spinto molto oltre l’arte di nascondere i propri fini, le proprie vertigini e soprattutto la propria violenza”.

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www.paoladigiuseppe.it

 

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