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Luz silenciosa

Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film

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Winnie dei pooh

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La recensione su Luz silenciosa

di Winnie dei pooh
8 stelle

Singolare ed enciclopedico, questo film è un'autentica cornucopia di suggestioni e citazioni cinematografiche, dove la più evidente è quella che fa riferimento a Carl Theodor Dreyer, sia per l'uso della luce che per l'epilogo pressoché enantiomorfo rispetto a quello di Ordet, ma anche e soprattutto per la maniera in cui Carlos Reygadas affronta la rappresentazione dell'amore (dell'atto sessuale) e della morte come riflesso del mancato rapporto con l'altroeventi che – in un certo senso – sono entrambi la negazione assoluta del tempo oggettivo*; e il pendolo di Johan ed Esther, infatti, in un momento ben preciso della vicenda si ferma.

Anche il richiamo alla poetica, allo stile formale e alla straordinaria essenzialità grammatica di Yasujiro Ozu è abbastanza eloquente. Così come nella seducente lentezza e nel continuo soffermarsi sugli oggetti (ancora gli orologi, per esempio, come ne "Il gusto del sakè", che mi fanno sempre tornare alla mente il Tristram Shandy di Sterne. Anche perché, come sosteneva Giuseppe Gioachino Bellila morte sta nascosta negli orologi), certamente non circoscritti a meri dettagli scenografici ma volutamente rappresentativi della vita stessa e del suo naturale, quanto inevitabile, consumarsi. In questo caso però, va rilevato, viene quasi totalmente a mancare uno dei tratti per me fondamentali del Maestro nipponico che si determinava in un acutissimo senso dell'umorismo.

Vi possiamo ritrovare Tarr Béla per certi movimenti di macchina, per i dialoghi asciutti e allo stesso tempo pregni di significato, nonché per alcuni volti scarnificati e gibbosi come fossero stati scolpiti nel legno di bosso, nei grandi occhi profondi e nelle bocche amare.

Per molte di queste ragioni, unitamente a quella dello straordinario utilizzo cromatico (sia visivo che uditivo), la costruzione registica di quest'opera mi ha ricordato anche Aleksandr Sokurov e in particolar modo quello di "Madre e figlio".

Volendo rapidamente concludere quella che, in buona sostanza, è solamente una maldestra ripetizione di concetti già espressi, in maniera decisamente più appropriata, da chi mi ha preceduto, a questo punto mi limiterò a un'osservazione relativa all'uso che in questo lungometraggio viene fatto della forma canzone come vero e proprio interludio musicale, quasi esclusivamente finalizzato a spezzarne la tensione emotiva; mi riferisco, in particolare, a due momenti ben determinati (in uno dei quali si vede alla televisione Jacques Brel cantare "Les Bonbons" in un concerto del 1964) e che, a mio avviso, sono anche quelli meno felici di tutto il film, pur volendo rappresentare l'esatto contrario.

In definitiva, "Luz silenziosa" è un'opera che, a uno spettatore distratto, potrebbe sembrare strutturata su un canovaccio molto semplice, quasi banale; in realtà, oltre a essere una pellicola intrisa di Cinema, come si è detto, essa è anche una sorta di trattato sulla colpa e sul senso di colpa; una sublime dissertazione sul perdono, sulla redenzione e sulla rinascita. 

 

*Flavio Vergerio

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