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Zodiac

Regia di David Fincher vedi scheda film

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La recensione su Zodiac

di scapigliato
8 stelle

Uno dei casi più conosciuti dell’immaginario seriale di tutti i tempi. Il killer della Baia di San Francisco, ovvero Zodiac, passò alla storia come il serial-killer che giocava con la polizia più di Jack lo Squartatore; che uccideva senza un disegno preciso più di Jack Lo Squartatore; e la cui identità rimane ancora oggi un mistero, proprio come Jack Lo Squartatore. A differenza del fascino del suo progenitore, Zodiac non ha colpito più di tanto l’immaginario, altrimenti oggi avremo molti più libri e film su di lui che su Jack, Ed Gein o il Mostro di Milwuokie, per esempio. Ma la sua cronaca è affascinante come poche, e questo gli ha permesso di vivere nella memoria dell’immaginario seriale. Il film di Fincher, che torna sul luogo del delitto rivisitando in segno diverso il mondo del serial-killer a più di dieci anni da “Se7en” (comunque irraggiungibile), non convince fino in fondo, pur dando una sua soluzione al caso, cosa che nella realtà non è avvenuta. Il primo tempo, nonostante sia concentrato sui delitti dell’assassino seriale, è patetico, forse per il distacco patinato che il regista voleva rendere, mentre si rialza alla grande durante l’indagine serrata, anche nel montaggio, dei due poliziotti. Questa fase più ritmata continua più avanti con il vignettista Robert Graysmith, ovvero un Jake Gyllenhaal sempre bravo e qui anche particolarmente misurato, che porta avanti lui le indagini visto che la polizia ci rinuncia. É in questa parte del film che David Fincher si concentra di più sul mezzo cinematografico per trasfigurare quell’angoscia che, forse dovuta ai suoi ricordi di bambino quando Zodiac uccideva, dovrebbe essere la fonte principale dell’azione. Un’angoscia che è pure ossessione, ed entrambe sono circoscritte al personaggio di Gyllenhaal. Mentre a Mark Ruffalo, che va detto ha la faccia giusta, non gli dice bene. Il suo personaggio, il detective Dave Toschi, è stato reso meglio da Steve McQueen in “Bullit” e da Clint Eastwood in “Dirty Harry”, entrambi i film citati in questo di Fincher, come referenti di un gioco che dalla realtà cronachistica si travasa nell’immaginario cinematografico e viceversa. Da notare infatti anche il peso che un film, “The Most Dangerous Game”, conosciuto anche come “Caccia Fatale”, ha su tutta la storia oltre che il vero e proprio caso di Zodiac. Ritornando al ruolo di Ruffalo, il suo agente, che ispirò quello di “Bullit”, non rivive come icona ‘70ies, come grazie a McQueen, ma sembra addirittura messo in ombra dai personaggi a lui ispirati.
La soluzione finale che il regista dà al caso di Zodiac è interessante, e stando a come ce la racconta, non farebbe neppure una piega. In effetti le circostanze e le coincidenze sono molto precise per essere solo delle circostanze e delle coincidenze. Ma il caso è ancora ufficialmente aperto, anche se i corpi di polizia che vi indagarono sono molto convinti della versione Graysmith, oggi versione Fincher.

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