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Still Life

Regia di Jia Zhang-ke vedi scheda film

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La recensione su Still Life

di giancarlo visitilli
8 stelle

La natura morta non é solo il titolo di questo bellissimo film, Leone d’Oro di Venezia 2006. E’ il tempo che muore (le lunghissime e lentissime carrellate iniziali), la vita delle persone e delle cose, anche il fiume sembra rallentare il suo corso, di pari allo scorrere del sangue di ogni personaggio che vive nel villaggio di Fengjie, luogo desolato e sommerso dall’acqua a causa della costruzione della diga delle Tre Gole. Qui giunge Han Sanming, un uomo che ha l’obiettivo di ritrovare la figlia che non ha mai visto, ma si ritrova a lavorare come demolitore, per potersi permettere il soggiorno. Nello stesso paese c’è anche Shen Hong, un’infermiera alla ricerca del marito, ingegnere a Fengjie, che non vede da due anni e sul quale scoprirà verità poco piacevoli, che la porteranno a un’importante scelta di vita.
Still Life è, innanzitutto, un viaggio interiore, se si può dirlo, “politico”, perché affonda le radici nelle contraddizioni storiche, sociali ed economiche della nuova Cina, un paese che ormai sembra quasi sospeso fra capitalismo e il suo opposto, tra la dura realtà e la felice immaginazione, che vive soprattutto di dissoluzione, quella della memoria storica.
Perciò la macchina da presa privilegia i lentissimi movimenti dell’assurda velocità con cui la storia avanza, stravolgendo non solo gli equilibri naturali, ma anche le interiora degli operai, sempre più scavati e smagriti, tali e quali alle strutture industriali dimesse e alle sagome dei palazzi abbattuti, in piedi come catafalchi. La visione appare surreale per la sua veridicità, alterata e straniante. Non è un caso che il film sia suddiviso in quattro capitoli, ognuno avente per titolo un oggetto comune, della vita quotidiana. Dalle sigarette, al liquore, al the e le caramelle. Se si vuole, tutti oggetti che fomentano quell’illusione verso la quale è votato un mondo, avviluppato sempre più su sé stesso, a causa di un progresso, che qui è mostrato come un girone infernale, che conduce all’oblio della dimenticanza di storie, di vita di popoli, di passioni e di sentimenti, ormai solo una lontana nostalgia.
Sarà per questo che il giovane regista, Jia Zhang-Ke (classe ’70), illustre rappresentante del cinema cinese indipendente, è inviso alle autorità per la sua capacità di fotografare con lucida sincerità la situazione della Cina contemporanea e i mali che l’affliggono, compresa la grande impresa, una sorta di investimento del governo cinese, tanto discusso, la diga delle Tre Gole, che verrà ultimata solo nel 2009, con la disperazione della popolazione rurale del luogo, sconvolta dai cambiamenti socioeconomici conseguenti proprio all’edificazione della diga.
Tuttavia, degna di menzione per la sua straordinaria importanza, è la sequenza finale del film. In essa vi è tutto il cinema neorealista, il cinema-veritè, capace di raccontare la possibilità che il sogno abbia ancora una sua concretezza. L’equilibrista che cammina sul filo teso tra i due palazzi, prima del loro crollo, è una natura morta che riprende a colorarsi di quei colori intensi. Tipici di un qualcosa che realmente, comunque, non c’è più. Ma, almeno, è nel sogno di ognuno, perché “nessuno dovrebbe dimenticare il proprio passato”.
Giancarlo Visitilli

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