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Ratatouille

Regia di Brad Bird, Jan Pinkava vedi scheda film

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La recensione su Ratatouille

di spopola
8 stelle

Un piccolo gioiellino semplice e folgorante che racconta una fiaba e il suo lieto fine, destinato una volta tanto non solo ai bambini, ma anche ai loro accompagnatori, che in questa circostanza non rischiano assolutamente di annoiarsi, ma possono a loro volta abbandonare la mente alla fantasia e al ricordo riscoprendo gustosi sapori smarriti.

“Ratatouille” è una magica pellicola che fa innamorare a prima vista anche chi, come me, è in genere abbastanza refrattario per tutto ciò che è animazione. Questa meravigliosa “favoletta morale” (che acquisisce il valore di un voluto e sentito messaggio di “fratellanza”, così necessario ai giorni nostri, proprio nell’evidenziare, una volta eliminate le diffidenze del pregiudizio, la possibile felice e produttiva “convivenza” PERSINO fra uomini e topi e addirittura all’interno della cucina di un ristorante, due categorie e un luogo che sembrerebbero fra loro assolutamente inconciliabili), vivacizzata per altro da una scrittura intelligente densa di gags e di trovate e sostenuta da una straordinaria animazione, così “perfetta” da risultare più veritiera di ciò che è effettivamente reale, colpisce davvero al cuore, e il merito principale è sicuramente attribuibile alle capacità anche intuitive del suo “creatore” o principale “responsabile” che dir si voglia (mi riferisco al regista Brad Bird che ancora una volta è riuscito – quasi superando se stesso – a centrare un bersaglio all’apparenza osticamente problematico, confermandosi così fra i più inventivi innovatori del genere, pur nel non dimenticato solco della tradizione). Insomma, un piccolo gioiellino semplice e folgorante che “racconta una fiaba” e il suo lieto fine, destinato una volta tanto non solo ai bambini, ma anche e soprattutto ai loro accompagnatori, che in questa circostanza non rischiano assolutamente di annoiarsi, ma possono a loro volta abbandonare la mente alla “fantasia” e al ricordo riscoprendo “gustosi sapori” smarriti. L’opera è infatti piena di riferimenti - volutamente “citazionistici” - che rimandano a un cinema purtroppo irrimediabilmente perduto (ma che gli adulti hanno avuto la possibilità di “metabilozzare” e fare proprio), a partire dal “clima” generale della rappresentazione decisamente alla “Frank Capra”, per intenderci (edificante, ma non mieloso) con un andamento però che rimanda ancor più concretamente agli sviluppi quasi “farseschi” della commedia brillante alla Blake Edwards. E no è assolutamente finita qui: per me anche un incrocio fra “Un americano a Parigi” (per l’ambientazione “miticizzata” che fa da sfondo alla storia, che risente l’influenza – o meglio si ispira – nei colori, nella composizione, nella fantasmagoria idilliacamente (ir)reale dei panorami con le sue luci pirotecniche, i suoi gourmet, il leggendario pavé e la troneggiante silhouette della Torre Eiffel, a quella “particolare” visione alla Minnelli con un “richiamo esplicito e immediato che è emozione e rimpianto) e “Il pranzo di Babette” (per l’attenzione alla credibilità delle ambientazioni in interni e per l’innamorato tributo “all’arte culinaria” e alla sua creazione). Ma anche la lezione che trova riferimento nella comicità dell’espressione corporea (più che dalla “parola”) del periodo aureo dell’era del muto, è perfettamente “assimilata” e riprodotta con esattezza di ritmi e di movimenti. La macchina da presa poi, è mobile e “movimentata”, perfettamente a suo agio nel piroettare con assoluta padronanza con le sue carrellate, le panoramiche vorticose, gli avvicinamenti improvvisi e un movimento interno ad ogni sequenza, così articolato e “perfetto” da rasentare il virtuosismo (una volta impensabile nei cartoon e loro derivati, visivamente decisamente statici), sia nelle funamboliche “costruzioni” degli angusti spazi della cucina, che nelle più distese estensioni degli esterni quasi magici. E poi, lasciatemelo dire, c’è un momento che da solo sarebbe sufficiente a rendere indimenticabile l’impatto (fra i tanti, è il più esaltante e “tenero”, non a caso da alcuni critici come Marcello Garofano su Ciak e Federico Pedroni su Film TV – ai quali mi associo per la “geniale” intuizione condivisa - definito come una “madeleine proustiana”, perché anche per me analoga è stata la “sensazione identificativa” con quel modello esemplare). Mi riferisco ovviamente alla scena nella quale il feroce, stizzoso e temibilissimo critico culinario con la puzza sotto il naso, pronto a decretare il fallimento della creazione e del ristorante, di fronte a una raffinata versione di un “semplicissimo” e povero “stufato di verdure” (la ratatuille del titolo) ha una improvvisa, struggente e nostalgica regressione verso il ricordo della sua infanzia, quando l’odore di quella pietanza “contadina”, rappresentava la giusta ricompensa ed era da solo sufficiente a creare allegria e a riscaldare il cuore!! E l’equilibrio assoluto che sorregge l’elaborata esecuzione di questo poetico momento “a ritroso”, con l’emozione del recupero di quel felice passato lontano e dimenticato, è tale da far nascere spontanea la commozione profonda per le “assonanze” che risveglia in ciascuno di noi. L’aver affidato nella versione originale a un attore del calibro di Peter O’Toole la resa vocale del personaggio (immagino che il risultato sia ancor più eclatante e suggestivo di quello esibito con la resa tutto sommato pregevole del doppiaggio italiano) è una conferma incontrovertibile che la circostanza non è assolutamente casuale, ma assolutamente “cercata”, per farne già in partenza il momento “clou” – quasi l’anima più profonda – dell’intera vicenda rappresentata. In perfetta sintonia “citazionistica” (per i riferimenti a una insolita “classicità giocosa” abbastanza estranea a questo tipo di pellicole) l’ottima colonna sonora che accompagna, spesso ritmandole nelle funamboliche esibizioni, le azioni e le “situazioni”.

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