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The Good Shepherd. L'ombra del potere

Regia di Robert De Niro vedi scheda film

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La recensione su The Good Shepherd. L'ombra del potere

di barabbovich
4 stelle

Il 16 aprile 1961 l'esercito americano tentò un'offensiva militare contro Cuba per riportare il paese governato da Castro sotto la propria sfera di influenza. La missione fallì miseramente, forse a causa di una soffiata. È da qui, e più precisamente dai dettagli di una fotografia scattata in una camera d'albergo, che parte la vicenda raccontata in The good sheperd, nella quale il buon pastore del titolo è Edward Wilson (Damon), studente promettente e idealista dell'Università di Yale, reclutato dapprima nei massoni degli Skull and bones e quindi passato alla CIA. Il film - tratto dal soggetto di Eric Roth - racconta la nascita della famigerata CIA all'inizio della guerra fredda attraverso la figura di un personaggio-simbolo di pura invenzione. Muovendosi freneticamente in un arco temporale tra il 1939 e il 1961, l'opera seconda di De Niro scava nella vita del protagonista, analizza la sua totale devozione alla causa americana (da qui il titolo originale del film), ne scruta le ostinate convinzioni contrarie anche all'evidenza. Pur avendo creato grandi aspettative rispetto a una delle pagine più nere della storia americana recente, L'ombra del potere delude. Il plot narrativo è destrutturato, rapsodico, letargico, ipertrofico (quasi tre ore di durata) e capace di mettere a dura prova i nervi dello spettatore con quel suo andirivieni cronologico che sa tanto di scimmiottamento del cinema d'autore. Tanto era sobrio, caldo e convincente l'esordio di 13 anni prima (Bronx), tanto l'opera seconda del De Niro regista - a dispetto di un cast stellare - è algido, logorroico e deludente. Giocando in apparenza per sottrazione ed ellissi (non si vede una sola arma se non nelle immagini di repertorio e la violenza fisica è pressoché inesistente), De Niro riempie i vuoti di un racconto che avrebbe potuto fornire al massimo la materia per un cortometraggio con una serie di scelte stilistiche inutilmente compiaciute: troppa musica, troppi primissimi piani, troppi dettagli in ripresa, troppi dialoghi, troppe location, nessuna suspence e un finale "telefonato" con almeno 40 minuti d'anticipo sui titoli di coda.
Orso d'argento per il miglior contributo artistico all'insieme del cast al 57mo festival di Berlino (2007).

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