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La ricerca della felicità

Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film

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La recensione su La ricerca della felicità

di giancarlo visitilli
4 stelle

“I have a dream”. Quello americano. Così sembra volerci ricordare l’uomo de L’ultimo bacio, mediante questo film che, pur raccontando la felicità (semplicemente la sua, quella del regista), è abbastanza infelice.
Già l’iniziale inquadratura ha tutta l’oscenità dei grandi registi fordisti, con tanto di landscape americano, poiché il tutto si svolge nella San Francisco del 1981, quel periodo difficile per tutta l’economia americana. E’ in questa grande metropoli che Chris cerca in tutti i modi di tenere assieme la sua famiglia, una moglie e un bambino, sempre sperando di trovare un lavoro vero. Ma quando la moglie lo abbandonerà definitivamente, lasciandolo solo col figlio di cinque anni, accettare con qualche prospettiva di carriera uno stage non retribuito, mantenere il piccolo e permettersi un appartamento, diventano per lui compiti sempre più difficili.
Tratto dall’autobiografia di Chris Gardner, La ricerca della felicità aveva tutte le carte da giocare per essere un film discreto, visto che il giovane, ma svezzato Muccino il suo mestiere lo conosce abbastanza bene, ma lo utilizza sempre molto male; avvalendosi anche dello sceneggiatore Steve Conrad e di una schiera di produttori, al servizio della Sony tra cui la stessa star Will Smith, forse ci siamo illusi.
In realtà, già il titolo fa molto pensare: la felicità per un uomo tanto sfigato, per giunta di colore, nell’America di oggi, ch’è giorno per giorno screditata dall’intero mondo. Ma in quale mondo vive Muccino, in quello rosa (nero, secondo il nostro modestissimo parere) di cui racconta il suo fratellino nel (fanta)romanzo, che in queste settimane va per la maggiore? Che ne sa Gabriele dei neri disperati e senza lavoro, della ricerca a proposito di una migliore condizione per vivere? Eppure siaccorge, ad un certo punto del film, che a Chinatown, la gente del luogo non sa neanche scrivere bene sui graffiti di strada “happyness”. Certamente, non basta sapere di ciò per poterlo raccontare, ma di uomini felici, da quelle parti forse ce n’è ben pochi sul serio. Molti neri americani, oggi li conosciamo mediante le foto: si tratta dei 20.000 giovani morti, debitamente neri, arruolati e inviati come carne da macello in terre come l’Iraq, forse perché desiderosi di poter raggiungere una “felicità” diversa rispetto a quella a cui l’America li costringe ogni giorno. Peccato che molti di loro la “felicità”, oggi la vedono da ben altra prospettiva.
Quel che maggiormente fa impressione nel film è anche l’oblio della storia, quella reale. E’ possibile che a Gabriele sfugga cos’era l’America di Reagan? Non certamente quella che appare alla fine del film: un paese che non discrimina per il colore della pelle e che ti dà sempre una possibilità. Che n’é dei milioni di precari neri di quegli anni, discriminati fino all’uccisione? Come è stato possibile che anche Will Smith non ricordasse tale storia?
Invece no, il massimo della saggezza di Muccino è ricordare la sola invasione dei cubi di Rubik (e non quella dei carri armati nel Nord Africa, negli stessi anni). “All'inizio del 1981, quando divenni padre per la prima volta, ero così felice che il senso di urgenza aumentò": dov’è questo senso di urgenza di cui parla finanche Chris Gardner, nel prologo del suo libro?
Che dire, poi, dell’anonimato che aleggia ovunque: un ambiente dal tessuto sociale praticamente invisibile; Chris non ha nessun parente, nessun amico, non incontra nessuno, il suo tempo trascorre accumulando solo disgrazie. Ma come si può allora scrivere all’inizio del film “tratto da una storia vera”? L’unica verità é che da un’operazione come questa, la major Columbia ne esce a testa alta (100 milioni di dollari al box-office Usa nei primi dieci giorni di programmazione, una candidatura ai Golden Globes, recensioni positive (?)).
Tuttavia, si spera che il creatore di questo film prenda coscienza sempre più del suo stato di grazia, tanto da restarsene in quella (in)felice America di Bush, che plaude al proprio arrivismo e al maschilismo imperante (ma che fine fa la moglie di Chris nel film?). Per il resto, quei poveri fessi di neri, bianchi, rossi, gialli e quant’altro, anche se poveri, prima o poi la felicità arriverà anche per loro!
Giancarlo Visitilli

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