Espandi menu
cerca
La soufrière

Regia di Werner Herzog vedi scheda film

Recensioni

L'autore

EightAndHalf

EightAndHalf

Iscritto dal 4 settembre 2013 Vai al suo profilo
  • Seguaci 233
  • Post 59
  • Recensioni 1018
  • Playlist 35
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su La soufrière

di EightAndHalf
8 stelle

Uomo e Natura, quale indicibile indissolubile legame, quale terrificante rapporto. Quant'è piccolo l'uomo di fronte al terrore e all'angoscia che un evento naturale causa, nella nebbia funerea e solforosa che fuoriesce dal vulcano La Soufrière, mentre la città sembra colta in un coma profondo, in cui pochi esseri umani e viventi si lasciano morire. L'Uomo, l'essere vivente, accetta di essere annullato dalla catastrofe, accetta la Fine, a cui così tanto ci si è preparati. Herzog, Lachman e Reitwein, quasi come Aguirre pronti ad esprimere il loro controproducente eroismo autodistruttivo in nome della documentazione di quella che sembra l'incarnazione stessa della Morte, in quell'annuncio disastroso così pulsante e così inquietante, vagano per le strade fantasma di un piccolo mondo evacuato, da cui tanta gente è scappata per sfuggire a un Vesuvio arrabiato, l'incontro inevitabile con la morte. Quasi traducendo in immagini La ginestra leopardiana, riflettendo per estensione sull'esistenza umana e sul confine labile e oltrepassabile che divide Vita e Morte, e su tutte le conseguenze intime e psicologiche che l'evento può causare, Herzog instaura un dialogo monodirezionale con una Natura ostile capace di distruggere le costruzioni umane, simbolo di una sopravvalutata civiltà, e di spezzare via anni e anni di vite vissute che rievocate dal vento che sbatte le finestre rivendicano la loro permanenza, almeno nel ricordo. I semafori continuano a funzionare, i cuori di tre individui battono ancora sull'isola, e i tre individui non sono i tre membri dello spericolato cast, ma tre uomini del luogo, che non avvertono la necessità di abbandonare l'isola perché destinati a morire prima o poi oppure perché è tutto frutto di una volontà divina. Ecco i nuovi eroi, ed Herzog li osserva in tutta la loro (assurda e irrazionale) nobiltà d'animo, non perché martiri di chissà quale fede, ma perché consapevoli senza paura di come la Vita sia Morte se sbatacchiata dai crateri immortali di una Natura che a sua volta, dalla sua dimensione altissima, cerca essa stessa l'autodistruzione (il vulcano è destinato ad esplodere e a scomparire). E la Vita è sempre sbatacchiata, è sempre al confine. La visione reale e diretta di tale situazione è assetata ricerca del raccordo fra Natura, Umanità e Paura, di quel sentimento di terrore che distanzia così tanto l'uomo dalla Morte, e da qui deriva l'interesse da parte dei tre membri della sparuta groupe di visitare da vicino i minacciosi crateri. Il piccolo cespuglio leopardiano si ricompatta e utopicamente si estende, perché la Morte è davanti agli occhi e sarà tutto grandioso, l'uomo sarà (anti)eroe perché ha capito che la Vita è Morte. Ostinazione, ostinazione degna del furore di Dio, in nome di uno sguardo finale sul luogo. Oggi non poche domande sorgono su quello che sarebbe potuto succedere a Herzog, Lachman e Reitwein se veramente La Soufrière fosse esploso con la forza di cinque bombe atomiche, forse sarebbero stati seppelliti fra le macerie e mangiucchiati dagli avvoltoi che settant'anni prima avevano ripulito l'isola vicina, disastrata dal vulcano Pelée. O forse avrebbero trovato un luogo dove nascondersi, come era sopravvissuto a Pelée il criminale più 'cattivo' dell'isola, chiuso in isolamento in un sotterraneo, diventato poi fenomeno da baraccone, escluso dai grandi uomini morti e ricordati in foto d'epoca che sembrano dipinti e in cui paradossalmente si ritrova straordinaria bellezza nella distruzione, nel nulla. In presenza di un linguaggio documentaristico Herzog decide di limitare la catarsi, di non renderla esplicita, ma è evidente, nelle carrellate, nelle osservazioni dei cadaveri dei cani, nelle interviste: Herzog stesso sembra avere scelto di morire, le motivazioni sono date per scontate, o addirittura non sono importanti. Il suicidio dell'umanità, per diventare grandi, per essere ricordati magari da una pellicola che per un miracolo improbabile sopravviva, e che documenti ultimi giorni, ultimi attimi sospesi, ultimi sospiri.
L'Uomo ha capito la Morte? Quasi, ha capito la sua inevitabilità. Non è possibile, ci vuole qualcosa per smentirlo. La Soufrière non scoppierà, gettando nel ridicolo tutte le intenzioni, dimezzando la bellezza, mozzando la tensione, ricacciando dentro l'eroismo che stavolta i tre Aguirre (anzi, i sei) cercavano nella morte più alta e più nobile, quella assolutamente dimenticata e spazzata dal vento di cinque bombe atomiche. La Soufrière non è scoppiato, sopravvive un documentario su un tentativo fallito. Resterà un documento per parlare delle tristi condizioni dei neri che abitano l'isola. L'uomo rimarrà insoddisfatto, anche quando il suo scopo è il suicidio indiretto, la Fine, l'Apocalisse: la Natura solo allora rimane ferma, ancora viva, con un cuore che rinfaccia e pulsa ancora. Paradossale indegna mancanza di appagamento.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati