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The Departed. Il bene e il male

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su The Departed. Il bene e il male

di ROTOTOM
8 stelle

Infiltrazioni, piccole gocce in grado di far crollare le strutture più resistenti. Organizzazioni che da lontano sembrano impenetrabili e invincibili, viste da vicino, da dentro, mostrano invece tutte le crepe di un sistema imperfetto. Masse di uomini si muovono come maree, come branchi di animali in trasmigrazione, come colonie di ratti. Qualcuno ne rimane prigioniero in quelle crepe, per volontà o per costrizione, e comincia a rodere. Comincia a spingere. A minare dall’interno. Uomini a loro volta capillarmente lesi, le cui infiltrazioni cominciano a spaccarne la crosta superficiale, fino alla rottura definitiva, allo schianto. Amore, onore, fedeltà e bugie. Interessi personali e doveri collettivi, moralità e amoralità si fondono in un tutt’uno dai colori indistinguibili. Il male e il bene rimangono parole sospese nell’aria, pronte a fondersi ad una azione, un pensiero o a definire una situazione a sé stante, avendo perso ogni significato assoluto. Buono e cattivo hanno definitivamente riposto i cappelli bianchi e neri che li distinguevano per assumere l’uno le sembianze dell’altro, l’uno la psicologia dell’altro. Per combattersi, forse, non per annientarsi sicuramente visto che il progetto comune è che tutto rimanga in un elastico equilibrio che soddisfi più o meno tutti. Che preservi quella cupola dorata che rappresenta il potere e che ormai nel corso dei tempi ha assunto vita propria, in cui le persone che il potere lo rappresentano a vari livelli sono solo globuli rossi di un plasma immenso, sacrificabili e sostituibili da parte di un midollo marcio. La Società. Quella cupola che si staglia di fronte alla finestra del poliziotto corrotto, desideroso di potere, talpa, ratto, topo che la mina da dentro. Infiltrato nel sistema come una goccia d’acqua che attende solo il gelo dei rapporti umani per gonfiarsi e spingere un po’di più. Egli stesso ifiltrato da una sottile crepa di disamore che non gli consente di rendere felice la sua donna. Donna. Psicologa criminale, nelle intenzioni pura ma infiltrata di insicurezza che vede nello sbandato in cura la sublimazione delle costrizioni dell’urbana professionista in una più libera connivenza verso il male che tenta di curare, restandone attratta. Lo sbandato altri non è che un poliziotto infiltrato nelle organizzazioni criminali, in cerca di riscatto da una famiglia assente e criminale anch’essa, che rifiuta ma assumendone perfettamente le movenze e la mentalità quasi atavicamente, rimanendo imprigionato tra il labile confine tra il male e il bene. Hanno tutti una seconda faccia, nel film, che cambia a seconda delle situazioni, un’ identità mai delineata, frantumata in spicchi taglienti che riflettono solo una porzione della verità, ricomponibile caleidoscopicamente a seconda delle situazioni che vengono via via ad affrontare. E’ l’uomo moderno, non più granitico nelle proprie idee, non più coerente con una morale intrinseca ma malleabile e disposto a sfumare le proprie azioni in toni diversi, giustificandole in base alla convenienza, autoassolvendosi automaticamente ad ogni nefandezza. Scorsese dipinge quest’umanità mettendola una di fronte all’altra e come in uno specchio esse risultano indistinguibili. L’ambiguità è la nuova virtù capitale, capitale come il peccato, a seconda dei casi. Se in Scarface l’ascesa del crimine avveniva dal basso, dai topi di fogna per aspirare ad evolvere in qualcosa di superiore, ma sempre dal lato “criminale” della storia, il cui apogeo era rappresentato dalla forza e dalla violenza, in The Departed il ratto, la talpa rimane tale, dal vicolo alla cupola, che rappresenta il potere. E’ il mimetismo che dona il vero potere, è allargare quelle crepe nella struttura da abbattere che risulta vincente, rosa dall’interno e non più affrontata frontalmente, con l’ottusità della forza bruta. Mezzi che nella società moderna e ambigua in cui l’uomo moderno e altrettanto ambiguo sopravvive, sono alla portata di entrambe le fazioni che si interscambiano in un vortice di informazioni, segreti e tripli giochi che alla fine rendono difficile l’identificare l’appartenenza o meno dei protagonisti all’una o all’altra fazione, annullando anzi le differenze in un unico magma in conflitto con sé stesso ed attribuendo molto più semplicemente al tornaconto personale lo sfruttare la posizione che si occupa, vero motore dell’uomo non più cellula della società ma organismo a parte che ne sfrutta le potenzialità. Informazioni che viaggiano alla velocità della luce, in tempo reale, che cambiano di minuto in minuto le sorti di una vita come di un’operazione di polizia piuttosto che di un’impresa criminosa. E’ il telefono cellulare il vero infiltrato nelle maglie della vita dei protagonisti, costantemente acceso, fedele ambasciatore di informazioni più o meno vitali, alter ego di una identità che stenta ad essere riconosciuta se non attribuita ad un numero su di un display. E’ più letale delle armi, è l’arma dell’informazione globale, il dato in tempo reale, quello che mancava nei gangster movie del passato e che contribuiva a creare una lenta progressione degli eventi, ragnatele che alla fine mostravano il loro bandolo, qui, nulla di tutto ciò esiste, il dramma è vissuto in tempo reale, smontato e rimontato ad ogni squillo, il tempo è elevato a potenza e talmente denso di avvenimenti accavallati l’uno sull’altro da non consentire una pianificazione di comportamento, semplicemente bisogna agire in base ad impulsi, a istinto, infiltrandosi nelle crepe della personalità, la tecnologia ha sorpassato la capacità degli uomini di gestirla trasformandoli in moderni animali. Un ottimo film, The Departed, sorretto da grandissime interpretazioni, su tutte un Di Caprio sempre più convincente e un istrionico Jack Nicholson che rappresenta il nuovo Jocker, re del male, senza morale che conserva come lo Stregatto di Alice, il suo ghigno letale. Matt Damon fa quello che sa mentre un deciso Mark Whalberg risulta una piacevole sorpresa. Sceneggiatura precisa e circolare, tutti gli spunti narrativi vengono ripresi e chiusi a dovere, senza lasciare alcun dubbio, se non marginale sulla vicenda. Alla fine tutto ritorna come era all’inizio, nulla sembra si sia mosso e l’impressione è che tutto ricominci da capo. Alla fine muoiono tutti, tutti tranne uno. Tutti gli infiltrati vengono sacrificati, i bugiardi sbugiardati, anche un bambino in attesa di nascere, figlio di una bugia, un altro infiltrato che non si sa di chi sia, forse, dalla faccia della madre che si allontana dal funerale dell'amato morto, sarà sacrificato. Rimane solo un’immagine simbolo, su un lussuoso attico innalzato dai vicoli umidi in cui scorrazzano i topi, attico la cui finestra si apre sui tetti e soprattutto sulla cupola dorata che rappresenta il palazzo del potere, a quell’altezza un topo si muove sul davanzale di quella finestra, all'altezza della cupola del potere. Il marcio non è più prerogativa dei vicoli umidi.

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