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A Scanner Darkly. Un oscuro scrutare

Regia di Richard Linklater vedi scheda film

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La recensione su A Scanner Darkly. Un oscuro scrutare

di Utente rimosso (Bright Parker)
8 stelle

Il Reale e L’Immaginario si mescolano in un viaggio allucinato che esplora la pazzia, incubi ed enigmi psicologici.
Così si potrebbe definire l’opera ambigua e fumettistica di Richard Linklater, che non è nuovo ad utilizzare un formato cinematografico quantomeno insolito, quello dell’Interpolated rotoscoping, vale a dire, riprendere gli attori in live-action per poi “ritoccarli” con l’animazione grafica digitale, che abbiamo già avuto modo di ammirare nella sua precedente pellicola “sperimentale” dal titolo “Walking Life”(2001).
“A Scanner Darkly”, tratto dall’omonimo capolavoro letterario di Philip K. Dick, è, più di qualunque altra cosa, una riflessione sulla società americana odierna, e basandosi su questa tesi, il regista rivolge, forse anche implicitamente, una critica verso il sistema, e lo fa attraverso la sostanza stupefacente simbolo dell’opera di Dick e dello stesso film, che viene denominata “Sostanza M”; questa pellicola ci trasporta in una “realtà” a noi totalmente estranea, verso la quale ci sentiamo stranamente ostili e disorientati, perché forse la “falsa realtà” che ci viene presentata nel film di Linklater non ci appartiene e quindi non troviamo punti d’accordo, o forse, contrariamente, ci appartiene ma non ce ne rendiamo conto. La confusione e l’allucinazione che ci viene presentata in “A Scanner Darkly” è figlia di una (non) coerenza narrativa sballata ma allo stesso tempo, e aggiungerei, proprio per questo, affascinante, perché dimostra di avere coraggio nell’uscire fuori dagli schemi “romanzeschi” che hanno caratterizzato gran parte delle pellicole tratta appunto di opere letterarie o da fumetti.
Un altro particolare che incuriosisce molto e nello stesso tempo, sconvolge, è la rappresentazione così maniacale e (furbescamente) eccessiva che il regista ha attuato; la magistrale opera di Philip K. Dick è trasposta sullo schermo in modo molto (forse anche troppo) fedele, ma che pur essendo di data non più recentissima, risulta incredibilmente attuale e di una modernità assoluta. I principali interpreti della pellicola non sono mai stati così istrionici e camaleontici come lo sono qui, a cominciare da un Keanu Reeves che si discosta finalmente dal personaggio di Neo della trilogia di “Matrix” dei fratelli Wachowski, per entrare nei panni di un personaggio molto più eclettico e psicologicamente più complesso, riuscendo a tratteggiare una personalità lugubre, torbida e oscura che entra di diritto nell’immaginario collettivo, o almeno di coloro che sono riusciti nell’intento di cogliere il messaggio del film. Non sono da meno i bravissimi Robert Downey Jr., anch’esso in un ruolo difficile e più che apprezzabile, Woody Harrelson in gran forma e perfettamente calato nei panni del tossico schizofrenico, l’eclettica Winona Ryder, che si risulta molto bella e molto brava anche in versione animata e l’allucinato Rory Cochrane.
Il messaggio, per nulla sottinteso, che questa pellicola ci vuole trasmettere, sta nella sequenza cruciale a circa metà film, che vede il protagonista Bob Arctor perfettamente in sintonia con la sua famiglia, finche, dopo essere andato a prendere una confezione di pop corn nella credenza, sbatte la testa contro l’anta, e egli stesso asserisce: “Improvvisamente mi resi conto che non odiavo l’anta della credenza, ma era la mia vita, la mia famiglia, il mio giardino, la mia falciatrice quello che odiavo…”. Proprio per questo motivo, dobbiamo vedere il film di Linklater come una sorta di racconto che parla di scelte, scelte di vita, scelte che riguardano tutti noi; possiamo vivere o possiamo abbandonare la nostra vita, esattamente come fa Bob Arctor.

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