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Scoop

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Scoop

di FilmTv Rivista
6 stelle

Si intitolava La morte bussa e raccontava della visita della Morte a un brooklynese, che si giocava la propria dipartita a un’interminabile partita di ramino. Era uno dei primi, brevissimi atti unici che Woody Allen scriveva negli anni ’60 per il cabaret. Poi, la “Triste Mietitrice” ha continuato a circolare nei suoi film, sia metaforicamente che letteralmente, come in Amore e guerra dove, secondo l’iconografia medievale e bergmaniana (Il settimo sigillo), trascina i protagonisti nella propria danza. In Scoop apre addirittura la storia: il giornalista Joe Strombel è morto e, dopo la funzione funebre e la rituale commemorazione degli amici al bar (in una scena che cita l’inizio di Broadway Danny Rose), ecco la barca che conduce all’Aldilà, sulla quale il giornalista defunto è imbarcato con altri sconosciuti, dominata a prua dall’alta figura incappucciata. La Morte non parla, non risponde a Strombel che chiede «Dove siamo diretti?» e tenta di allungarle una mancia. La Morte è fatta d’aria, di nebbia e di casualità. Se in Match Point la passione amorosa era un melodramma, in Scoop la morte è un balletto: per la precisione Il lago dei cigni di Ciaikovskij, la cui suite è il tema principale del film, affiancata da due polke di Strauss, dallo Schiaccianoci di Ciaikovskij e dalle rumbe che accompagnano le esibizioni sul palcoscenico del mago Splendini, alias Sid Waterman, alias Woody Allen, che fa da spalla alla determinata aspirante giornalista Scarlett Johansson nella caccia al “lettore dei tarocchi omicida”, il serial killer che ha già ucciso a Londra undici prostitute brunette. Commedia alla Misterioso omicidio a Manhattan, dove il povero Allen è trascinato in un’avventura surreale dall’irruenza femminile, fatta come quella di passeggiate e dialoghi irresistibili, Scoop cita Hitchcock poco e ironicamente (la cantina chiusa a chiave di Notorious nella quale si intrufola Splendini durante la festa al piano di sopra, l’ambiguità del personaggio di Hugh Jackman, memore del Cary Grant del Sospetto) ed è soprattutto un felicissimo ritorno alla commedia dei caratteri e dei costumi. Dice naturalmente anche delle cose sulla vita, sull’amore, sulle classi (peccato che il doppiaggio annulli la differenza di accenti tra i due protagonisti brooklynesi e l’alta società inglese). Su tutti, Splendini, il miglior Allen attore degli ultimi anni, non solo perché inarrivabile one-liner («Emozione nella mia vita significa una cena senza bruciori di stomaco», o «Come nascita sono di confessione ebraica, ma crescendo mi sono convertito al narcisismo»), ma soprattutto perché sa ritagliarsi un ruolo adatto alla sua età e ritrarsi per far spazio agli altri.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 41 del 2006

Autore: Emanuela Martini

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