Espandi menu
cerca
Indiana Jones e il tempio maledetto

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Immorale

Immorale

Iscritto dal 10 agosto 2007 Vai al suo profilo
  • Seguaci 122
  • Post 39
  • Recensioni 399
  • Playlist 20
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Indiana Jones e il tempio maledetto

di Immorale
8 stelle

Oriente avventuroso

“”M. era stufa della vita che conduceva da ormai tre anni.

 

 

Sentiva la mancanza di Parigi, ma non poteva tornarci. La colpa era del suo uomo dell’epoca, Martin, che l’aveva coinvolta in faccende troppo grosse per entrambi. Il suo ritorno nella città francese, quindi, sarebbe coinciso con la sua repentina morte di lì a pochi giorni per mano degli scagnozzi di F., il boss che li cercava.  O, peggio, con torture per estorcergli notizie su Martin (“Tu ad est, io ad ovest” – gli aveva detto lui molto prosaicamente nell’atto della non troppo triste separazione). Sotto tortura, probabilmente, l’avrebbe consegnato..e lui lo sapeva, per questo era stato così vago sulla sua destinazione.

 

Quindi si ritrovava a fare la ballerina a Shangai, nel night di Lao Che. Una pallida (e squallida) imitazione dei palchi parigini per i notabili locali e stranieri in cerca di avventure nei bassifondi. Che spesso trovavano nei vicoli adiacenti, dove si risvegliavano (quando erano fortunati) in mutande e senza un soldo. Lao Che, d’altronde, faceva il bello ed il cattivo tempo in quella zona della città. Lei aveva provato a più riprese ad entrare nelle sue grazie, ma lui preferiva le bionde (aveva anche provato a ripiegare su quell’idiota del figlio, ma si era tirata indietro: anche lei aveva ancora un briciolo d’amor proprio).

 

Lao Che: uno stereotipo vivente di boss asiatico, con i suoi baffi a manubrio e i suoi capelli azzimati, che amava le bionde (con i boccoli, soprattutto) in contrapposizione alle stancanti (per lui) chiome indigene, troppo lisce e nere. L’ultima sua (volontaria) preda era Willie Scott, una pseudo cantante-ballerina americana. Come ballerina era negata, infatti la parte ballata degli spettacoli (2 al giorno) faceva a meno della sua presenza e si reggeva tutto sulla SUA bravura (era la seconda ballerina) e sulle gambe del corpo di ballo (un accozzaglia eterogenea di disperate provenienti da chissà dove) ampiamente mostrate per la felicità dei non raffinatissimi clienti. Come cantante era leggermente meglio, ma sempre nell’ordinario; dove eccelleva, era nel continuo sbattere svagato dei suoi occhioni da cerbiatta e nel fare la smorfiosa, cosa che aveva attirato Lao Che come un orso al miele.

 

La odiava. Voleva essere al suo posto. Che diavolo, sarebbe perfino stata disposta a tingersi i capelli pur di elevare la sua condizione di eterna seconda. Questa sera, poi, Willie era particolarmente fastidiosa: continuava a saltellare di tavolo in tavolo mostrando a tutti il suo decolleté e il suo ampio sorriso da ebete, mentre sciorinava frasi fatte con la sua sgraziata voce da civetta. Lao Che, insieme a suo figlio ed al suo fedele scagnozzo, era seduto al tavolo centrale. Aspettava qualcuno di importante, probabilmente.

 

Quel qualcuno sembrerebbe essere il tizio con gli occhiali (alto e americano) appena entrato. Il tizio si diresse senza esitazione al tavolo di Lao Che, si sedette e, dopo i convenevoli di rito, iniziarono a parlare fittamente tra loro. Willie si accorse subito della cosa e si precipitò al tavolo per fare i suoi numeri di intrattenimento e per accreditarsi come la donna del boss agli occhi dello sconosciuto.

 

Solita solfa, insomma. Posò il drink, ormai finito e si incamminò verso l’uscita. La serata lavorativa era ormai finita e tutto sembrava tranquillo. Persino gli onnipresenti marinai erano stati meno molesti del solito, stasera. Sulla scalinata dell’uscita gettò una ultima occhiata al tavolo del capo, la discussione sembrava animarsi ma sempre nei limiti della riservatezza asiatica, alla quale l’occidentale sembrava adeguarsi con disinvoltura, non gesticolando e misurando i movimenti del corpo. Solo Willie continuava nel suo solito giochetto, incurante di tutto. Percepì un lampo di fastidio negli sguardi che Lao Che ogni tanto le lanciava; che il regno della “Golden Lady” stesse per volgere al termine ?. Bene, c’era ancora spazio per lei, forse.

 

Ci avrebbe pensato l’indomani, tutto sarebbe stato ancora lì, immutabile come i suoi rimpianti, pensò mentre fermava un risciò che la portasse finalmente a casa per una meritata nottata di sonno. La notte, di solito, porta consiglio…”” 

 

Il secondo capitolo delle avventure del Prof. Jones è forse quello che maggiormente dà libero sfogo alle pulsioni avventurose del giovane Spielberg: non ha, infatti, l’avventurosa “serietà” del primo (i predatori dell’Arca perduta) né l’aria da “divertissement” storico-religioso del terzo (L’ultima Crociata), ma ci travolge con una spettacolarità quasi bambinesca. Se si sta al gioco, quindi, ci si diverte parecchio. Nella prima frenetica mezz’ora, infatti, si trattiene il fiato come per l’attesa della felice conclusione del  numero di un ginnasta ove, magistralmente, le incessanti evoluzioni e le situazioni si succedono senza posa in un caleidoscopico vortice di trovate, tutte sorrette dalla maestria registica di Spielberg e dalla sua precisione visiva e sceneggiativa.  Poi, nella fase centrale, ci riporta quasi alla linearità “classica” delle vicende che coinvolgono l’avventuroso archeologo, cioè alle prese con un tempio infestato da invasati votati ad un oscuro e malvagio culto ancestrale. Il tutto farcito da godibili in­serti macabri (la cena degli orrori), toni da commedia e da “guerra dei sessi” (tutta la gustosa sequenza post prandiale tra Indy e Willie) e da una verve invidiabile. Occorre poi citare la perfezione interpretativa di Harrison Ford nei panni di un personaggio che sembra calzargli a pennello, con la sua aria da adorabile scavezzacollo (con buona pace di Tom Selleck, inizialmente scelto per interpretare il personaggio, che sarebbe probabilmente stato fuori ruolo) e il convincente ruolo da viziata donzella in pericolo interpretato da Kate Capshaw, forse solo un po’ troppo urlante; l’unico ruolo a mio avviso superfluo risulta solo quello del giovane Shorty, un po’ forzato.

Un film a mio avviso da rivalutare, non all’altezza degli altri due lavori (escludendo il mediocre 4° recente capitolo) con protagonista Indiana Jones, in un ottica di “diversità” rispetto a questi ultimi ma capace di non sfigurare al loro confronto.

La trama

Spumeggiante.

Steven Spielberg

Eclettica.

Harrison Ford

In parte.

Kate Capshaw

Urlante.

Ke Huy Quan

Superfluo

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati