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Le amiche

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Le amiche

di ligeti
8 stelle

Le amiche è quasi sicuramente il film di Antonioni più sottovalutato. All’epoca di questo film, il regista era ancora alla ricerca di una forma ed uno stile che non avrebbero trovato piena realizzazione nemmeno col successivo capolavoro Il grido (1957), ma solo con L’avventura (1960). Tuttavia, se lo stile può definirsi qui ancora acerbo, di certo non si può dire lo stesso delle tematiche affrontate, che Antonioni aveva ben chiare in mente sin dal suo primo film. Almeno sino a Il deserto rosso (1964), la sua filmografia costituisce infatti un unico discorso ininterrotto che perderebbe indubbiamente in profondità e ricchezza di sfumature qualora i vari tasselli che lo compongono venissero analizzati isolatamente. Sbaglia, pertanto, chi crede che L’avventura rappresentò una rottura rispetto a Il grido: a livello formale probabilmente sì, a livello contenutistico assolutamente no, tanto che si può parlare a ragione di “prosecuzione”. Sbagliato e assolutamente fuorviante quindi a mio avviso considerare una tetralogia L’avventura, La notte, L’eclisse e Il deserto rosso (una classificazione che non a caso venne operata dalla critica, e non dallo stesso Antonioni), come se costituissero un blocco isolato e a suo modo indipendente da quanto c’era stato prima. Ma torniamo a Le amiche, che a ben vedere contiene, in nuce, entrambi i due (più famosi) film successivi. Clelia, una ragazza di umili origini che adesso lavora per una casa di moda a Roma, ritorna nella natìa Torino per aprirvi una boutique. Qui incontra una ricca oziosa, Momina, la cui amica Rosetta ha tentato il suicidio. Clelia non ha amici a Torino, avendo lasciato la città molti anni prima. Momina la invita ad unirsi alla sua comitiva, di cui fa parte anche Cesare, l’architetto che ha curato l’allestimento della boutique (Cesare, scapolo, è un corteggiatore di Momina, che vive separata dal marito). C’è anche una coppia: Lorenzo, pittore, e Nene, ceramista. Clelia, segretamente, avvia una relazione con Carlo, aiutante di Cesare, che però non è nel giro di amicizie perché «è un semplice» (è di rango sociale inferiore). È un film un po’ anomalo nella filmografia di Antonioni, Le amiche, per diversi aspetti. Innanzitutto è praticamente l’unico film del regista ferrarese — se si escludono Blow-up, ispirato da Cortázar, ed il fallimentare (non a caso) Il mistero di Oberwald — ad essere tratto da un’opera letteraria: all’origine de Le amiche c’è infatti il romanzo breve Tra donne sole (1949) di Cesare Pavese, sceneggiato da Antonioni con Suso Cecchi D'Amico e Alba de Céspedes. In secondo luogo, Le amiche può essere definito tranquillamente un film corale, caratteristica questa più unica che rara nel cinema di Antonioni. Colpiscono infatti in questo film innanzitutto le interpretazioni femminili delle cinque “amiche”, in una prova di gruppo decisamente convincente, con personaggi ben caratterizzati psicologicamente e dialoghi all’altezza: da antologia in particolare la scena sulla spiaggia, tipicamente antonioniana per il rapporto tra vuotezza interiore e vuotezza del paesaggio, che anticipa, per la descrizione di una certa sensualità superficiale in ambiente borghese, quella della baracca ne Il deserto rosso. Infine, Le amiche è uno dei film più di interni di Antonioni, altra caratteristica insolita per un regista che negli ambienti chiusi sembra quasi soffocare, come i suoi personaggi (la passeggiata di Jeanne Moreau ne La notte è una vera e propria “fuga”), prediligendo in genere ampi spazi aperti e vuoti (basti pensare solo ai deserti di Zabriskie Point e Professione: reporter). Al di là di queste “singolarità”, comunque, Le amiche — bel bianco e nero di Gianni Di Venanzo e Leone d’Argento al Festival di Venezia — presenta anche molti tratti abituali della filmografia di Antonioni, a partire dal meccanismo del cosiddetto “giallo alla rovescia”, rappresentato qui dall’ultima misteriosa telefonata di Rosetta prima del tentato suicidio: un elemento destinato a risolversi ben presto senza colpi di scena e con ampia prevedibilità, dal momento che l’interesse di Antonioni non è rivolto certo verso le ragioni contingenti del tentato suicidio di Rosetta («Il movente amoroso è solo la goccia che fa traboccare il vaso di una noia di vivere, di una impossibilità a legare con la vita», dichiarò il regista), bensì verso la vacuità delle vite delle sue amiche. Le quali, al contrario di Rosetta, «l’unica ancora capace di sentire quello che le manca» (Cesare Pavese), vivono i loro amori con assoluta disinvoltura e spensieratezza e si sono adattate ormai perfettamente alla “recita” dell’amore, al gioco delle coppie, all’avventura. Nemmeno il tentato suicidio di Rosetta è in grado di smuoverle in qualche modo interiormente, diviene solo un pretesto per riempire il vuoto delle loro giornate. L’unica apparentemente in grado di capire Rosetta, o almeno di sforzarsi di farlo, è Clelia, ma la sua ribellione finale nei confronti di un mondo, quello borghese, verso cui prova (come lo stesso Antonioni, del resto) allo stesso tempo attrazione e repulsione è solo apparente, come dimostra l’aspro finale. Scriveva Pavese nel suo diario Il mestiere di vivere, pochi giorni prima di suicidarsi: «Non ci si uccide per amore di una donna, ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla». VOTO: 4/5

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