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In nome del popolo sovrano

Regia di Luigi Magni vedi scheda film

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La recensione su In nome del popolo sovrano

di LorCio
6 stelle

Luoghi comuni: Luigi Magni fa sempre lo stesso film. Nei luoghi comuni c’è sempre un fondo di verità. La Roma papalina non troverà più un cantore appassionato e competente come Magni che, alla fine della fiera, ha immortalato con interessante scrupolosità un periodo di cui sappiamo poco e male (il centocinquantennario, da questo punto di vista, ci ha riempito la testa di molta retorica e di poca sostanza), permettendoci una visione almeno fruibile di un momento storico cruciale per la Capitale. In questo caso siamo ai tempi della fuga di Pio IX, ultimo Papa Re, e della proclamazione della Repubblica Romana: l’atmosfera decadente è palpabile, i fermenti rivoluzionari si stanno istituzionalizzando e il popolo è ancora poco sovrano.

 

Magni contamina la Storia ufficiale con personaggi di fantasia, facendo così interagire il frate barnabita Ugo Bassi e il patriota Giovanni Livraghi con una certa marchesina Arquati e il di lei, debole marito, a sua volta succube del clericale padre. Sfilano anche Ciceruacchio (inteso da Magni come una sostanziale variante di Pasquino) e Carlo Bonaparte e c’è pure spazio Giuseppe Gioacchino Belli. Celebrazione affettuosa della fierezza ma anche della cialtroneria romana, il film ha ritmo e brio nonostante sia vagamente prevedibile e monotono a chi ha visto almeno due o tre film del regista (che in sede di sceneggiatura si è affidato all’aiuto di Arrigo Petacco).

 

In ogni caso il reparto tecnico è impeccabile (costumi e scenografie di Lucia Mirisola, fotografia di Giuseppe Lanci, montaggio di Ruggero Mastroianni, musiche di Nicola Piovani) e il cast è quello delle grandi occasioni, malgrado non al meglio. Serena Grandi ripropone il ruolo di Giovanna Ralli in Arrivano i bersaglieri, Jacques Perrin e i napoletani Carlo Croccolo e Luigi De Filippo giocano col mestiere, i giovani Luca Barbareschi e Massimo Wertmuller non sempre sono all’altezza, Elena Sofia Ricci non ci crede molto, Roberto Herlitzka non ha lo spazio che meriterebbe. E i due mostri sacri? Nino Manfredi sguazza allegramente nell’universo di Magni con un epigono di Pasquino (e una canzone sincera e struggente) e Alberto Sordi gigioneggia fin troppo in un ruolo che gli è congeniale.

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