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In nome del popolo italiano

Regia di Dino Risi vedi scheda film

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La recensione su In nome del popolo italiano

di degoffro
8 stelle

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Amaro e sagace ritratto di un'Italia sbruffona e arrogante ancora oggi estremamente attuale nonostante gli oltre 30 anni del film. Il giudice istruttore Bonifazi è un integerrimo e severo moralista: "chi merita merita, chi non merita sarà stangato", è il suo motto. Impegnato nelle indagini sulla morte di una giovane ragazza arriva a sospettare dell'ingegnere Santenocito, spavaldo imprenditore edilizio, brillante e senza scrupoli, un cialtrone con due processi penali alle spalle, immanicato con autorità capitoline, onorevoli e sottosegretari, grazie alla cui complicità riesce sempre a scamparla, nonostante gli affari non proprio puliti: molte delle sue costruzioni o sono abusive o cadono a pezzi. Nonostante il diario della ragazza gli rivelerà l'innocenza di Santenocito (si tratta infatti di un suicidio per amore), il giudice distruggerà la prova e incriminerà l'ingegnere. Sceneggiato con graffiante cattiveria da Age e Scarpelli e diretto con pungente ironia da un Dino Risi in forma, una commedia spassosa e acuta, grottesca e vivace, disarmante nella lucidità con cui descrive la faciloneria, l'ipocrisia e la presunzione tipicamente italiane, deprimente nella sua modernità (nulla è cambiato, anzi se è possibile stiamo ancora peggio). Riuscitissimi i caratteri dei due protagonisti: da una lato il giudice Bonifazi, uomo tutto d'un pezzo, che va ancora in Tribunale in bicicletta o in motorino, "il difensore di una società che fa schifo, in cui le leggi consentono ai detentori del potere economico di prosperare", impegnato in una autentica campagna contro coloro che si avvalgono del loro potere per darsi importanza e sopraffare gli altri, vantando diritti che non hanno; dall'altro l'ingegnere Santenocito, fascistoide supponente e viscido, "che ama il linguaggio referenziale e desemplicizzato", con un padre che lo considera "un mascalzone, uno che se ne fotte degli altri", e una moglie, da lui reputata una "mezza calza con vocazione alla stravaganza, oltre che con un vocazionismo a propinare sciagure" che lo considera "un puttaniere". Santenocito è il classico italiano che si è fatto da sè, "uno che lavora duro per il benessere del paese", che emanerebbe un editto per fare in modo che i ragazzi fino a 25 anni siano recintati in un camping con un filo spinato con corrente ad alta tensione, costretti al lavoro duro per 16 ore al giorno, rapati a zero, tutti a soffrire; in un mondo livellato alla scelleratezza, per Santenocito è fondamentale rimanere puri (così almeno dice alla figlia che aveva fatto credere in famiglia di essere in dolce attesa), salvo poi affermare che "la corruzione è essa stessa progresso", oppure che nel mondo del lavoro si conclude molto di più in una camera da pranzo, o meglio ancora in una camera da letto, che non in dieci riunioni. Parlare è la sua droga, lo fa sentire vivo: sfoggiare il suo sapere gli consente di primeggiare su chi gli sta intorno, pezzenti e scansafatiche che potrebbe schiacciare come pidocchi, sbattendoli a Pantelleria con una semplice telefonata ad un ministro. Sarà proprio questo suo atteggiamento sprezzante, spavaldo e superficiale la sua condanna: il giudice Bonifazi, evidentemente prevenuto nei suoi confronti, non si lascerà sfuggire l'occasione per punire pesantemente un uomo sfacciato e ingannevole, nell'unica occasione in cui è esente da colpe. Gran duello recitativo in cui alla fine la spunta il più misurato Tognazzi, con una convincente ed ammirevole prova in sordina, mentre il pur bravo Gassman, al solito a volte eccede, senza che Risi riesca a contenerne i troppi exploit sopra le righe.
Voto: 7

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