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Thank You for Smoking

Regia di Jason Reitman vedi scheda film

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La recensione su Thank You for Smoking

di spopola
8 stelle

Caustica commedia al vetriolo “politicamente scorretta” che anticipa già nei notevoli, singolari ed appropriati titoli di testa, la “qualità superiore” di una originale costruzione che stigmatizza (mettendoli alla gogna, ma lasciando allo spettatore il compito di “analizzare” scegliere e decidere autonomamente, persino in “controtendenza”) i paradossi e le ipocrisie dei nostri tempi e della società nella quale viviamo: si parla dell’America evidentemente, dove tutto è più esasperato ed esasperabile, ma il “disegno” che ci viene mostrato, è già adesso esportabile e riconducibile con semplici e piccolissimi aggiustamenti, alla realtà operativa di ogni “democrazia” business oriented, la cosiddetta “(in)civiltà industrializzata” della globalizzazione dalla quale è davvero difficile riuscire a prendere la distanza “critica”, quel “mercato globale” del consumismo e della pubblicità mediatica in cui stiamo affogando “rimbecillendo” progressivamente, un universo fatto di “comunicazione condizionata” che ci esalta e ci gratifica, sempre più incapaci di distinguere e di “pensare” seguendo la logica delle proprie convinzioni ormai fluttuanti e instabili per le tante folate di vento che arrivano da ogni direzione, “addestrati a credere”, dalle chiacchiere imbonitrici, che “persino Cristo non è stato crocifisso ma è morto dal freddo”. Risultato decisamente pregevole e coinvolgente quello raggiunto e che coglie pienamente nel segno: merito soprattutto di una scrittura non a senso unico che mette bellamente in evidenza con irriverenza assoluta, le contraddizioni delle varie facce della medaglia, non risparmiando a nessuna, critiche e frecciate di inusitata cattiveria sotto l’apparente “leggerezza” della battuta salace (e di quelle da antologia qui ce ne sono davvero a bizzeffe, così tante che è persino difficile indicare la più irriverente e feroce, c’è solo l’imbarazzo della scelta, e scusate se è poco!!!) dai “perfetti” tempi cinematografici (egregiamente enfatizzati dalla preziosa regia dell’esordiente Jason Reitman, puntuale e accorta, un autore “dinastico” – figlio dell’Ivan di Ghostbusters -che mostra già una notevole e invidiabilissima padronanza del mezzo e che, valutando i risultati di questa sua insolita “opera prima”, rappresenta già molto di più di una semplice promessa in divenire). La notevolissima sceneggiatura di questo “Thank you for smoking”, prende le mosse dal romanzo omonimo di Chistopher Buckey (che purtroppo non ho ancora avuto il piacere di leggere, ma che, stando a quanto si evince da questa pellicola, dovrebbe costituire un indispensabile bagaglio di conoscenza e accrescimento per ogni coscienza pensante). Ironico, irriverente al punto giusto (qualità queste ormai rarissime nella piatta ripetitività conformista dell’odierno cinema americano) e mai noiosamente standardizzato sul cliché, il film narra le gesta di Nick Naylor (simpatica canaglia al servizio degli interessi di parte dell’industria del tabacco, attività che svolge con magnifico successo e con assoluta e piena considerazione anche di tipo strettamente narcisistico) “lobbista” di professione (come lui stesso più volte si definisce), campione di dialettica e di implacabili deduzioni solo all’apparenza “irragionevoli e insensate” con le quali riesce a sconfessare persino l’evidenza e ad “avere sempre e comunque ragione” su tutti e su tutto. Uomo dai pochissimi amici ( soltanto due della sua stessa “pasta”e di analoga “concezione” mentale con i quali si ritrova periodicamente intorno a un tavolo di un bar in una costante, “delirante” rincorsa verso la detenzione del primato di “nefandezze”) e un passato familiare non proprio esaltante (un matrimonio fallito alle spalle e un figlio adorante da educare “alla sua maniera” e con il quale entra spesso in dialettica contrapposizione emulatrice) si troverà in momentanea e imprevista difficoltà dall’incursione nella sua vita “senza sentimenti” di una intraprendente giornalista ancor più spregiudicata e senza scrupoli, riuscendo però come al solito a ribaltare a suo favore ogni più pessimistica previsione confermandosi l’idolo assoluto del pargoletto imberbe che dimostrerà in più di un’occasione di aver ben assimilato la lezione nonostante la giovanissima età. Dissacrante e insolito nell’approccio, si conferma una delle più singolari e gradite conferme di questo inizio di stagione, grazie anche al cast che asseconda alla perfezione il disegno registico (dove persino Kate Kolmes riesce a non essere disdicevole) a cominciare da Aaron Eckhart, simpaticissima e insostituibile “faccia da schiaffi”, mai così bravo e “necessario” dai tempi del suo “importante” debutto sotto la guida accorta di Neil LaBute -(successivamente spesso disatteso probabilmente non solo per suo demerito - (e gran parte della riuscita della pellicola è proprio attribuibile al suo istrionico sguardo, sornione e pungente, un talento naturale nuovamente estrinsecato al meglio delle sue potenzialità che si sposa a meraviglia con il personaggio rappresentato, che ci espone in tutte le sue molteplici sfaccettature con sorprendenti risultati espressivi), circondato da una altrettanto invidiabile, impareggiabile schiera di comprimari di classe, da Macy (il senatore antitabagista con il quale deve “vedersela” in televisione) a Robert Duvall sempre grandioso, senza tacere della Bello e di Koechner (i due amici lobbisti dei periodici incontri a loro volta portavoce dell’industria dell’alcol e delle armi) e del giovanissimo Cameron Bright, per arrivare, dulcis in fundo, a un invecchiato Rob Lowe, irriverente caricatura di un “giapponesizzato” produttore cinematografico che dovrebbe rimettere in bocca alle stars Hollywoodiane la bistrattata sigaretta per risollevare le vendite del settore, protagonista di una delle più esilaranti sequenze di tutta la pellicola. Più epidermica di altre “incursioni” (tipo “Insider” dell’inarrivabile Mann tanto per intendersi e rimanere interni all’argomento tabacco, ma con la quale non intende evidentemente -ed ovviamente- competere) ma analogamente “intelligente” e necessaria (e a suo modo portatrice di “verità” e di conoscenza) è una parabola (im)morale (o meglio “senza morale” per lo meno del tipo di quelle confezionate a tavolino, precotte e stantie troppo spesso propinateci) che ha il coraggio di dire con tono assolutamente non predicatorio, cose anche sgradevoli che tutti sappiamo ma abbiamo difficoltà a riconoscere e ammettere, e senza forzare la mano di nessuno: ognuno rimane “libero” di valutare e decidere autonomamente da che parte stare e quale “modello” prediligere e adottare anche nel piccolissimo universo della propria quotidianità comportamentale.

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