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La porta d'oro

Regia di Mitchell Leisen vedi scheda film

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La recensione su La porta d'oro

di jonas
7 stelle

Inizio simpaticamente metacinematografico: un uomo si presenta agli studi Paramount per vendere un soggetto in cambio di 500 dollari; ma deve concludere in fretta, perché la polizia lo sta inseguendo. Il soggetto è la storia della sua vita, rievocata in flashback: un gigolo abituato all’alta società europea e costretto alla fuga dalla guerra, che cerca di trasferirsi negli Stati Uniti ma rimane bloccato in un villaggio messicano di confine; qui ritrova una vecchia compagna d’avventure, che ha ottenuto la cittadinanza con un matrimonio poi subito sciolto, e progetta di fare la stessa cosa con una maestrina avviata allo zitellaggio. La trama, pur fra qualche snodo poco plausibile (in particolare la concentrazione in pochi giorni di situazioni che sarebbe stato meglio diluire), è quella di un melodramma; però ci sono parecchie sequenze di alleggerimento, nelle quali si può riconoscere la mano di Billy Wilder (cosceneggiatore insieme a Charles Brackett). Sembra di essere in Casablanca, tutti in attesa di un visto per andarsene via; ma è una Casablanca da straccioni, dove al posto del Rick’s Bar c’è un lurido hotel che ha il benaugurante nome Esperanza e che ospita un variopinto microcosmo fra cui spicca una coppia austriaca: lui è tubercolotico e quindi escluso dalle quote per l’immigrazione, lei è incinta al nono mese e trova un modo ingegnoso per applicare lo ius soli.

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