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C.R.A.Z.Y.

Regia di Jean-Marc Vallée vedi scheda film

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La recensione su C.R.A.Z.Y.

di PompiereFI
8 stelle

E’ il giorno di Natale dell’anno del Signore 1960. Nasce Zach, quarto fratello maschio della famiglia canadese Beaulieu. Un Gesù Bambino a tutti gli effetti. E non solo per la data del suo compleanno, ma anche perché col tempo sembra aver sviluppato un dono che gli consente di operare piccole guarigioni. Tutto perfetto, se non fosse per quell’interesse che Zach mostra verso le carrozzine e i trucchi della madre. Ed è qui che il padre Gervais (reso da un ostinato ma non freddo Michel Côté), avvertendo il “pericolo”, cerca di comprare la simpatia e la mascolinità del figlioletto esibendosi virilmente con gli anelli di fumo e ricordando il passato di militare nell’esercito. Tuttavia, anche lui ha un lato romantico, visto che il suo cuore batte per le musiche sentimentali di Aznavour

Velatamente alla moda, quando ricorre a immagini accelerate per la messa in scena delle incontinenze notturne e delle percosse architettate per mascherare le pulsioni adolescenziali di Zach, la regia di Vallée si riscatta con l’intimità e l’intesa che il protagonista instaura con la madre. Un’armonia che va ben oltre la riproduzione dei gesti di lei, e che diventa una vita vissuta quasi in simbiosi, resa ancor più articolata dalla fede cristiana materna praticata senza incertezze o sconforti, sognando un percorso ascetico tra le vie di Gerusalemme. Le difficoltà di Zach sono da attribuire pressoché in toto al rapporto con un padre rigido e machista, tutto preso dal mettere al mondo figli, secondo un improbabile invaghimento da capofamiglia (il quale “non vede come si possa passare la vita a mettere il pisello tra le chiappe di qualcun altro”) che lo allontana e allo stesso tempo lo equipara alla struggente “Crazy” (richiamante l’azzeccato acronimo del titolo) cantata da Patsy Cline.


Mescolando una vena nostalgica a un’altra più rockeggiante, la musica emerge da un sottofondo di cori ecclesiastici ed esplode nelle note dei Pink Floyd (“Shine On You Crazy Diamond” è saccheggiata oltremodo), di David Bowie e dei Rolling Stone. Tutti compagni di viaggio insostituibili nella formazione di Zach e nel suo processo di accettazione che passa tra sequenze di ottima e surreale estrosità, filtrata dalle pose tipiche di certa disco music dell’epoca, e dai look dark e punk (Sex Pistols docet) che scavano nell’anima nera e tormentata del giovane in cerca del proprio io.

Nel tentativo di “guarire” dalle sue inclinazioni sessuali, il ragazzo cerca di infliggersi punizioni passando col semaforo rosso e resistendo oltre i limiti a una tormenta di neve, in un inseguimento calcolato e abbastanza ossessivo verso l’autodistruzione, comprendente anche una radicata asma. Vincitrice del Festival di Toronto, la pellicola è una messa in scena anche ironica delle problematiche del protagonista, tanto che la loro esposizione risulta a volte un po’ facilona ma ben bilanciata e giustificata dal periodo durante il quale le vicende si svolgono (gli anni ’70 e gli ’80 non erano così pronti ad accettare la condizione dell’omosessualità). Gode, vieppiù, di una cadenza abbastanza lenta nel dipanare il racconto, permettendoci di entrare in empatia coi personaggi (tutti accuditi nella loro colorata evoluzione) e di gradire i dialoghi vivaci, freschi e conciliatori della sceneggiatura, parlando un linguaggio contemporaneo senza smarrirsi in astrattismi posticci.

Tanto che a un certo punto l’equilibrio delle paranoie, delle intese e delle reclusioni finalmente si rompe: le tavolate natalizie si ribaltano sotto il peso dell’inibizione e dell’eccessivo controllo, gli anelli di fumo si addensano in rivoli di rabbia sanguigna, le canzoni di Aznavour stonano a contraltare di una realtà troppo adulta per le sviolinate, e sui matrimoni piove l’acqua del malinteso e della paura del pettegolezzo. Ed è così che, tra i poliedrici C.R.A.Z.Y. del titolo, c’è chi farà la fine di un toast pressato dalla piastra del ferro da stiro e chi sarà capace di far crescere acqua nel deserto.

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