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Marie Antoinette

Regia di Sofia Coppola vedi scheda film

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La recensione su Marie Antoinette

di FilmTv Rivista
6 stelle

Non credere alla realtà perché "non se ne può fare a meno". Di non crederci. La realtà, la contemporaneità cosÌ come la si vede (e non la si capisce), è troppo sfuggente per riuscire a darle un verso. Ed è troppo perfetta da non nascondere qualcosa di tumultuoso. Figuriamoci per una quattordicenne che s'è trovata fuori patria, fuori famiglia, sposata con un re altrettanto giovane, in un contesto sociale e civile di estremo rigore formale e in un periodo storico che non può trovare pace. Marie Antoinette, "Madame Deficit", sale le rampe di Versailles e scende gli scalini di una consapevolezza destinata a ritorcerlesi contro. Anzi, addosso. A Sofia Coppola poco importa la tradizione: la sua regina rappresenta l'epitome delle inquietudini delle vergini suicide Lisbon. Marie Antoinette non sa letteralmente che fare. Dunque fa quello che farebbero tutti, gioca. Certo, il gioco è bello finché dura poco, difatti a 37 anni finisce ghigliottinata. Ma per la regista e sceneggiatrice è tutta una questione di gioventù. Che crea l'inadattabilità. Marie Antoinette non sta ferma perché fermarsi significa morire. Le etichette di Palazzo sono ferme, e sono morte. Come può reagire una quattordicenne spinta a forza dentro saloni e costumi grandi ma claustrofobici, dentro una rigidità endemica e necrofora, schiacciata da una routine che non è solo stile di vita ma soprattutto - e in maniera più preoccupante - visione del mondo? Marie Antoinette è il gancio a Il giardino delle vergini suicide in quanto racconta di una libertà che s'infrange mortalmente contro scogli sociali. Quando tutti scrivono e parlano del nuovo e più compatto film di Sofia Coppola in termini eminentemente postmoderni (brani musicali ad hoc, oggettistica sui generis, eccetera), mi sembra più intelligente capirne le ragioni attuali. Marie Antoinette, che lo vogliamo o no, mette in scena l'oggi in maniera più emblematica e finanche opportuna di molti lavori sull'oggi (vedi A casa nostra). E lo fa attraverso un coming of age che si declina piano e inesorabile, perché l'adolescente può essere ancora terreno di lotta. S'intende ovviamente una lotta di vettori esterni e interni, sociali e psicologici. Sulla pelle candida della regina giovanissima incide la Storia lasciandole segni invalicabili. Se Marie Antoinette si dà allo sperpero, alle feste, alle brioche, non pensiate non cresca: cresce il rapporto col marito Luigi XVI, negli anni più generoso e amorevole; cresce il suo spirito materno, coi suoi quattro parti; cresce l'idea stessa di potere. Non cresce invece la responsabilità socio-politica. Ecco, la coscienza di Marie Antoinette è ferma ai 14 anni, ed è morta. La colpa, non meravigliamoci, non è sua, ma delle mura, dei rituali, degli scheletri. Che importa allora se la Coppola ci fa sentire Aphex Twin e Gang of Four, The Radio Dept. e Bow Wow Wow, The Cure e Adam and the Ants (soundtrack peraltro bellissima e azzeccatissima) su un tessuto del XVIII secolo? Marie Antoinette, ancor più di Lost in Translation (che qualche perplessità lasciava), è un racconto di formazione "classico", un'epopea d'amore quasi malickiana per un'età dell'oro costretta ad appassire prematuramente per mancanza di puntelli sociali e civili. Se è vero che la Storia non fa altro che ripetere se stessa (e il film è "a cerchio", con la giovane che arriva e se ne va in carrozza), dovremmo cominciare a meditare su quali possano essere le armi per un effettivo cambiamento. Non possiamo accettare siano le lame di un patibolo: da qui non parte niente, se non sangue a fiotti. Col suo andamento lento, e col suo offrirsi giustappunto vergine (la Dunst non è mai stata così brava), Marie Antoinette ci ricorda che lo sfarzo non è un problema di superfici, ma di attitudine mentale, e di sguardo sul mondo. Il Settecento di Versailles non è così lontano da ogni nostro più piccolo e contemporaneo "dietro l'angolo". Chi si lamenta della Milano della Comencini dovrebbe pensare più a lungo e approfonditamente.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 47 del 2006

Autore: Pier Maria Bocchi

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