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Volver

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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La recensione su Volver

di spopola
8 stelle

Che splendido affresco tutto coniugato al femminile ci ha regalato Almodovar! Un rinnovato, stupendo capolavoro che stravolge e commuove, immerso nei colori splendenti di una Spagna rurale e contadina percossa da venti (e passioni) turbolenti e impetuosi, “arroventata” da incendi così devastanti (che non sono soltanto metafore) che lasciano tracce (cicatrici) profonde e terribili su cose e persone oltre il tempo e la vita: le fiamme si spengono, ma lasciano cenere e macerie e i segni rimangono indelebili. Se il corpo “rimargina”, si “ricompone”, l’anima non è altrettanto capace, non riesce mai a guarire del tutto – o a trovare la pace e il senso delle cose - senza un “tampone” rigeneratore che solo l’amore e la disponibilità sodale può fornire consentendo così se non il superamento, per lo meno la comprensione di traumi lontani ma non dimenticati. E allora le ferite continuano a sanguinare nascoste e occultate in fondo a un ricordo rimosso, ma vivido e presente, quasi un’ossessione “sepolta” sotto uno strato troppo sottile di terra, che non cicatrizza quella piaga dolorosa e pulsante che non concede riposo. E il “viaggio” diventa struggente e necessario, a “ridosso” di quel momento inavvertibile fra la vita e la morte, in prossimità di quella “zona d’ombra” che ci accompagna e sovrasta minacciosa e incomprensibile, ma che rimane l’unica “certezza inalienabile di ogni esistenza…”, il solo “attimo” capace di “coniugare” rendendoli attigui e comunicanti i due mondi “impossibili” e avversi, in un confronto che diventa persino “pacificazione”, accettazione dell’inevitabile che ci sovrasta.…. Volver…. Tornare per ritrovarsi… per costruire un nuovo contatto e poter finalmente “raccontare”, svelare segreti, confessare “responsabilità” e rimorsi… tornare per riconciliarsi e riconciliare, per ridare speranza e futuro, per riacquistare la presenza concreta di una “certezza”, un supporto che renda meno penosa la vita e la “solitudine del trapasso”… “TORNARE CON LA FRONTE APPASSITA / LE NEVI DEL TEMPO HANNO ARGENTATO LE MIE TEMPIE / SENTIRE CHE E’ UN SOFFIO LA VITA / CHE VENT’ANNI NON E’ NIENTE..” Sono solo alcuni dei versi dell’indimenticabile tango di Carlos Gardel che dà il titolo al film (e “illumina” anche uno dei momenti più belli e appassionati della pellicola, fra riflessi specchiati così simili a quelle “ossessioni” lontane che tornano a insinuarsi aprendosi di prepotenza il varco, riaffiorano prorompenti col ricordo sulle note rotte e “appassionate” di una chitarra). Almodovar li ha compresi e fatti suoi, li ha fatti diventare l’essenza stessa del film, il senso più sotteso di una storia turbolenta e sorprendentemente tragica, il suo personale omaggio alla vita e al tempo stesso un “supporto” speciale per “sdrammatizzare” la morte “attenuandone” il mistero…. e rendere persino “possibile l’impossibile”…. Eccezionale prova di maturità e di equilibrio questa pellicola che conferma il periodo di “grazia” che accompagna quella che io considero la “seconda fase creativa” del regista più classicheggiante e compatta nello stile e nei risultati. Davvero, è come se (per me) con “Tutto su mia madre” il regista abbia in qualche modo voluto chiudere l’era delle “birichinate” giovanili divertenti e “spiazzanti”, caustiche e impertinenti ma che mi lasciavano insoddisfatto e in buona parte “deluso” o per lo meno non sufficientemente “appagato” (ed è un giudizio soggettivo e discutibilissimo visto che invece per molti è esattamente il contrario). Certamente ne apprezzavo le capacità creative (e come sarebbe stato possibile non farlo?) ma non riuscivo mai a riconoscermi pienamente in quelle spesso deliranti (in senso buono) estremizzazioni che (qualche volta) mi facevano nascere il sospetto della goliardia “intelligente” e irrispettosa ma futilmente dispersiva. Volevo “qualcosa di più”… e finalmente io l’ho ottenuto: sono arrivati infatti il sorprendente “Parla con lei” (forse davvero il risultato più alto fin qui raggiunto) che rappresentava anche una svolta non secondaria nell’aver privilegiato la scelta di una storia coniugata al maschile, e il successivo, controverso, sottovalutato e incompreso da molti, “La mala educacion” melò fiammeggiante e rivisitazione personale, “ragionata” e coerente, dei classici americani del filone delle “dark lady” vivisezionato e ribaltato in più di un momento, nel gioco dei ruoli e delle prospettive, fino ad approdare al “gioiellino prezioso” adesso sui nostri schermi e che qui stiamo analizzando, un altro omaggio innamorato al cinema e alla sua storia che trova i riferimenti culturali proprio in quello italiano del dopoguerra: le citazioni visive (vedi le sequenze in Tv di Bellissima e tutta la “costruzione” fisica e recitativa della Cruz, “plasmata” in modo da non consentire dubbio alcuno al riguardo) non sono mai casuali. E’ sorprendente (ma non incomprensibile) il modo in cui Almodovar riesce a “penetrare” il mondo “dell’altra metà del cielo” e a restituircelo in tutta la sua poeticità sfaccettata… e qui – questa volta in maniera ancor più accentuata e definitiva - ci sono davvero solo e soltanto donne (che sono poi e sempre le “sue” sorprendenti, imprevedibili e affascinanti donne) perché gli uomini sono presenze decisamente marginali (non secondarie, si badi bene) e non ci fanno davvero una bella figura. In “Volver” infatti gli uomini o sono solo raccontati (o “spariscono” presto ma non senza aver fatto danni). Le loro presenze rimangono comunque incombenti e minacciose, lasciano “tracce” e sofferenza nelle loro donne che continueranno a piangerli, tenendo vivo il ricordo “edulcorato”, spesso accudendo con cura maniacale le loro tombe (stupenda la prima carrellata nel cimitero sui titoli di testa, fra il vento e le lapidi scomposte e sferzate) persino a “rimpiangerli” (come giustamente intuisce Emanuela Martini), capaci però di “tornare” per chiedere anche perdono quando è necessario, di ritrovarsi per discolparsi, di rigenerarsi raccontando al verità e di rinascere solidali e concrete, unite e coese più di prima (e l’universo è ancora una volta diversificato e intriso di umori contrastanti davvero stupefacente per la varietà dei “caratteri” rappresentati). Il linguaggio di Almodovar rimane personalissimo e riconoscibilissimo, alterna il dramma al paradosso, sa essere patetico e divertito (spesso surreale), con una progressione del racconto che riserva sempre nuove scoperte ed emozioni spesso persino sconcertanti (ma non è la logica assoluta degli accadimenti che interessa… anzi!! il valore sta invece proprio nella “particolarità” dello sguardo, nella capacità di disegnare con pochi tratti personaggi e figurine di contorno tutti perfettamente delineati). E’ nella capacità superlativa di farci partecipare anche emotivamente al gioco, senza dimenticare mai il piacere del caustico divertimento che non trascura l’irriverenza, fregandosene sempre di ciò che è “politicamente corretto”. E il film è fatto di sguardi e di “corpi”: sguardi e corpi che si intrecciano, si confrontano, si ricercano e si inseguono, in questo poema sulla vita e sulla morte che riserverà molte sorprese e altrettante emozioni profonde!!! Davvero lasciatevi “trascinare” una volta tanto nel mondo stravagante e bizzarro di Pedro, lasciatevi affascinare dalle sue provocazioni, abbandonatevi “rilassati” al fluire delle immagini, immergetevi nei colori ammalianti, permettete alle musiche e alle parole di riempirvi il cervello e la memoria…. e troverete “umori” sottintesi e nascosti capaci di appagare ogni vostro senso, uscirete dalla visione divertiti e commossi, sicuramente più disponibili e propositivi. Che dire delle attrici? Si staglia in primo piano la grandiosa, ritrovata Carmen Maura, davvero sublime, comica e tragica allo stesso tempo, “fantasma” dimesso e accorato che rappresenta l’anima stessa del film, il “distillato” creativo dell’operazione. Se lei è il “diamante splendente”, non è di minore importanza il contributo di tutto il folto stuolo di contorno, a partire da Penelope Cruz, forse un po’ più discontinua, ma ugualmente incisiva e capace di “riprodurre” con perfetta adesione i richiami anche iconografici richiesti alla sua persona (strepitosa comunque in più di un momento, come nei confronti in campo e controcampo quando madre e figlia, “ricongiungendosi”, si parlano finalmente, comunicando più che con le parole, proprio con gli sguardi colmi di lacrime e di accorato dolore e di differente consapevolezza) .

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