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Il grande dittatore

Regia di Charles Chaplin vedi scheda film

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La recensione su Il grande dittatore

di scandoniano
10 stelle

Il dittatore Adenoid Hynkel della Tomania (Charles Chaplin) è deciso a conquistare il mondo; una delle tappe obbligate è la pulizia etnica degli ebrei (e in futuro dei “bruni”!) per creare una razza ariana pura. Per questo il ghetto viene rastrellato a dovere e anche il barbiere del quartiere (sempre Chaplin), amico di guerra di Schultz, comandante tedesco che lo stesso barbiere salvò durante la prima guerra mondiale, viene vessato, finendo in un campo di concentramento, lontano dalle grazie della bella e dolce fidanzata (Paulette Goddard). Ma la clamorosa somiglianza col dittatore di Tomania concederà al barbiere una chance importante…

La storia è risaputa, è quella di Hitler (con tanto di incontro e collaborazione con Napaloni-Mussolini); l’importanza del film sta nella clamorosa capacità di Chaplin di trasformare la più grande tragedia della storia del mondo in un macchiettistico teatrino di figuri non più totalmente loschi e spietati, ma altrettanto stupidi ed inetti. Per farlo, Chaplin sfrutta il manicheismo esasperato tra uomini potenti e uomini inermi, che dilata ulteriormente l’inarrivabile assurdità della guerra e dei suoi meccanismi; meccanismi beceri e inutili, che non portano nulla di buono per il genere umano. Chaplin ridicolizza alcuni punti fermi della dittatura hitleriana: le manie di grandezza (memorabili le sfide sottese tra Hynkel e Napaloni), i numerosi tentativi di creare armi ed attrezzature sempre più all’avanguardia, la prossemica e le tecniche di persuasione dei popoli.

Storicamente il film ha un valore impareggiabile, essendo girato e distribuito quando il fuhrer era al massimo del suo splendore, impegnato nell’intento di conquistare il mondo. Il coraggio di Chaplin e del suo entourage è encomiabile, il valore sociologico della sua opera ha pochi eguali nella storia delle arti visive, il monologo finale è decisamente da antologia (e purtroppo non ancora demodé), straordinario manifesto della speranza del genere umano: negli occhi dell’attore inglese riecheggia la disperazione per la situazione geopolitica e rifulge l’aspettativa di un mondo finalmente migliore.

Primo film parlato di Chaplin, in cui il retaggio del muto si sente ancora eccome: musica, silenzi e frasi non udibili vengono sfruttati al massimo, riducendo i dialoghi allo stretto necessario (d’altronde la capacità mimica di Chaplin basta ed avanza per spiegare molte situazioni). Il profluvio di parole delle ultime sequenze però appare quasi come una liberazione per la figura di Chaplin/Charlot, famoso nel mondo per il saper comunicare senza parole e, ora che il progresso glielo consente, capace di riassumere in 4 minuti di monologo le parole che mezzo mondo avrebbe voluto profferire.

Il film è zeppo di scene e situazioni memorabili, che hanno indubbiamente ispirato famose gag, non solo cinematografiche, degli anni successivi (vedi lo sfogo di Trapattoni, allenatore del Bayer Monaco ai tempi di Strunz, o la bomba a mano che scivola pericolosamente nella manica della giacca fantozziana). Così come archetipico è il tema del sosia, che diventerà un fondamentale topos del cinema a venire. 

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