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Gioventù bruciata

Regia di Nicholas Ray vedi scheda film

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La recensione su Gioventù bruciata

di luisasalvi
8 stelle

Se il titolo originale (Rebel without a Cause) ha un significato per Ray e non è solo un residuo del libro di Lindner che la Warner gli aveva proposto come soggetto, dobbiamo interpretarlo nel senso che il problema non è quello di ribellarsi ad una o ad un'altra società, ma di imparare a convivere con quella in cui ci si trova, imparando ad amare. Il ribelle del titolo è uno solo; ma Jim sa già che non si tratta di cambiare la società, anzi rimprovera alla madre di voler cambiare ogni volta che incontra qualche difficoltà; Jim non è ribelle, come non lo è Judy;  lo è Plato, che incontriamo alla polizia per aver ucciso dei cuccioli senza sapere perché, cioè "senza un motivo", e alla fine, dopo essersi ribellato per un momento anche a Jim, spara a un poliziotto: è impazzito, non si fida, non crede alla società, dopo l'ultima delusione provata quando apre con ansia la lettera della madre e vi trova solo un assegno, anziché le parole che da sempre si aspetta inutilmente. Il ribelle del titolo è lui, destinato a finire male. Il libro di quel titolo trattava delle fantasie narrate da un giovane delinquente; qui è Plato l'unico "delinquente" e l'unico che deforma la realtà e racconta fantasie diverse. Ray ha modificato il soggetto, ma sempre legato alla delinquenza; di ribelli "senza motivo", o piuttosto "senza ragione", non certo "senza causa" (come vorrebbe Di Giammatteo, senza darne spiegazioni): le cause ci sono e ci vengono mostrate, ma la tesi del film e in genere di Ray è che la violenza non serve, la ribellione non ha mai ragione di essere, anche se ha sempre una causa. I suoi "violenti" finiscono quasi sempre male, il bandito che lascia la moglie incinta, il giovane adottato da Matt in All'ombra del patibolo, il fratello psicopatico della cieca in Neve rossa, come qui Plato; ma ogni volta la morte è seguita da una rinnovata speranza in chi resta, che proprio dalla tragedia impara che la violenza non paga e non ha senso, e che l'unica soluzione alle difficoltà della vita è l'amore, inteso come comprensione e impegno: la stessa lezione che Ray propone al pubblico.

Variamente travisato dalla critica, che lo ha visto a volte come denuncia della società americana, altre volte come denuncia della ribellione giovanile, con conseguente idea di una ingiustificata trasformazione dei protagonisti alla fine del film. Molto criticato in Italia, stranamente sia da destra sia da sinistra, per opposti motivi; apprezzato in Francia, e meno travisato. In realtà continua il discorso dei film precedenti; il disagio giovanile nasce da bisogno di amore, anche di comprensione, ma anche di severità: i tre protagonisti, unici di cui si vedono le famiglie o se ne ha notizia (quella di Plato non si vede, ma perché è assente), fanno ciò che vogliono, ricevono denaro o regali e hanno libertà: non sono queste le cose che mancano loro. Che i loro genitori appaiano troppo sbagliati, troppo indifferenti o assenti o freddi o deboli è abbastanza naturale in un film che si presenta come parabola esemplificativa, dai toni forti, "romantici", forse troppo sentimentali, come poi dirà Ray (in Filmcritica 1963, 133, pp 327-331); a me non pare che lo sia troppo, essendo coerente al tono di tutto il film e agli interessi del regista; in tutti i casi si tratta di esempi emblematici di casi comuni. Non c'è nessun cambiamento di interessi nei due giovani, ma solo un riconoscimento di amore e di aiuto reciproco, favorito forse dalla morte del ragazzo di Judy (con cui non c'era vero amore) e di Plato che cercava in Jim la figura paterna che gli mancava. Il cambiamento repentino  e forse ingiustificato semmai potrebbe esserci nel padre di Jim, che si dice cambiato; ma non è detto che lo sia, è comprensibile che lo dica dopo l'emozione di averlo creduto morto e dopo che non aveva saputo aiutarlo né ascoltarlo; comunque il cambiamento dei genitori non è essenziale al racconto, che narra le vicende dei giovani, e serve tuttavia come immagine dell'evangelica capacità di conversione di ogni amore: come un padre amorevole può aiutare il figlio a crescere o magari anche a cambiare (come in All'ombra del patibolo), così qui un figlio che trova l'amore e che sa amare può convertire un padre ignavo. Inoltre, essendo il film narrato in funzione dei giovani e in particolare di Jim, forse ciò che più conta è che Jim dopo aver imparato ad amare anziché a esigere amore, riesce a vedere in chiave positiva anche gli altri, anche il padre che prima disprezzava; anche questo coerentemente al messaggio evangelico, che invita a sciogliere le colpe altrui.

Si fanno confronti con La valle dell'Eden, l'altro film con Dean; Ray è stato assistente di Kazan e ha elementi in comune con lui, in particolare il gusto per casi estremi, che però in Kazan hanno, mi pare, un sapore melodrammatico, mentre in Ray hanno funzione di apologo, semmai sentimentale, ma mai melodrammatico, mentre il suo messaggio mi pare più rigoroso, coerente e chiaro di quello di Kazan, pieno di compromessi con la società in cui fatica a inserirsi. Ray non sembra denunciare una società in particolare, ma guarda in generale alla difficoltà del vivere e del convivere, cioè di amare, che è appagante ma difficile da apprendere e realizzare. 

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