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Lady Henderson presenta

Regia di Stephen Frears vedi scheda film

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La recensione su Lady Henderson presenta

di FilmTv Rivista
8 stelle

A Londra nel 1937, una gran dama in gramaglie assiste al funerale del marito, alto funzionario britannico in India. La signora, da sola, si ritira su una barca in mezzo a un laghetto per piangere in solitudine; sfogato il dolore, torna a casa per accudire gli ospiti della veglia funebre. E qui, con un’amica medita sui passatempi preferiti delle vedove altolocate: ricamo? beneficenza? gioielli? amanti? Poco portata per tutte queste attività, Laura Henderson finisce per comprare un teatro in disuso, assume un direttore, e rifonda il Windmill Theatre, il “cugino” povero del parigino Moulin Rouge, che come questo trionferà con il music-hall arricchito di ragazze nude. Tableaux vivants, immobili sulla scena in pose “artistiche”, per venire incontro alla morale corrente, più pruriginosa e bigotta, d’Oltremanica. Ispirato alla storia vera di Mrs. Henderson e di Vivian Van Damm (il suo direttore) e del Windmill, che fu l’ultimo teatro londinese a chiudere i battenti sotto i bombardamenti tedeschi, Lady Henderson presenta è il bell’omaggio di Stephen Frears al cinema inglese che più gli piace, le commedie anni ’40 e ’50 della Ealing (che produsse un delizioso film sul music-hall, Champagne Charlie di Cavalcanti) e il documentarismo anni ’30 (che viene citato con appropriata intensità attraverso i materiali di repertorio che descrivono i blitz nazisti su Londra, gli incendi, le distruzioni, tratti dalle opere di Humphrey Jennings, soprattutto da Fires Were Started). Autore di A Personal History of British Cinema (il corrispettivo inglese del lavoro di Scorsese sul cinema americano), in quel documentario Frears rivendicava la superiorità del cinema britannico piccolo e battagliero (appunto Ealing, documentarismo e Free Cinema) su quello più internazionale; una linea che per altro l’autore non ha mai smentito, ritornando sempre, tra un film hollywoodiano e l’altro, alla “presa diretta” di commedie irlandesi come The Snapper e The Van o di ruvidi drammi urbani come Piccoli affari sporchi. Qui, sorretto da due interpreti straordinari come Judi Dench (impagabile eccentrica) e Bob Hoskins e dalla sceneggiatura affilata di Martin Sherman, riesce a restituire il sapore di un’epoca, del suo cinema e del suo spirito, fatto di solidarietà collettiva e di quotidiana inventiva, di grandi dolori ed enorme, disillusa autoironia. Dove però l’illusione della scena (e dello schermo) scaldava ancora il cuore.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 2 del 2005

Autore: Emanuela Martini

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